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Claudia Osmetti 19 dicembre 2024
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Donarsi, letteralmente. Ché qui, visto il periodo, di frasi fatte ce ne sarebbero da riempire una pagina intera: è Natale, siamo più buoni, è un atto di generosità disinteressata. La realtà, però, è che come la metti rischi di suonare banale, un po’ scontato: mentre di ordinario, in questo gesto “samaritano”, in quest’uomo che ha deciso di donare un rene, da vivo, senza che nessuno glielo chiedesse, senza sapere niente di chi avrebbe aiutato, senza un parente in difficoltà o un amico in dialisi, c’è proprio nulla.
Tanto per cominciare perché mica è così frequente, poi perché ha reso possibile più di un trapianto in una volta sola, infine perché non è nemmeno immediato: ci sono delle procedure, degli standard, delle valutazioni e delle leggi che garantiscono la “donazione samaritana” (si chiama proprio così, non è un caso). Ma il risultato è tre vite salvate e, alla fine, conta questo. Infatti a dirlo è proprio lui, il donatore rigorosamente anonimo (come lo è sempre, la vera beneficienza) che forse a chiamarlo “eroe” abbasserà la testa e scrollerà il capo, almeno noi ce lo immaginiamo in codesto modo, con quella timidezza tipica dei forti di spirito, ma parole diverse per descrivere ciò che ha fatto ce ne rimangono pochine.
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«Il motivo profondo sta nella riconoscenza e nella gratitudine che ho verso la Vita, quella con la “v” maiuscola. Ho ricevuto salute, soddisfazione professionale, amore, amicizia. Ringrazio la Vita per questi doni. E quindi mi sono chiesto cosa potessi fare io per gli altri, dopo aver avuto esperienza anche di volontariato. Io sono un credente, per me è stata una grande opportunità». Cos’altro puoi aggiungere? Puoi dire, sì, che per questo gesto con pochissimi precedenti (dopo ci arriviamo, ai precedenti) è stato ricoverato per cinque giorni nel reparto di Chirurgia e trapianti dell’ospedale di Padova.
Puoi sottolineare, d’accordo, che il suo rene è andato a una persona che si trovava in cura presso il nosocomio San Salvatore dell’Aquila. E puoi anche dilungarti sul fatto che la sua decisione abbia innescato una sorta di reazione a catena per cui un famigliare del paziente abruzzese ha fatto altrettanto (ha, cioè, donato uno dei suoi due reni a una seconda persona seguita dal policlinico Sant’Orsola di Bologna), e questa seconda persona, a sua volta, con lo stesso identico meccanismo a cascata, ha reso possibile trovare un altro organo, donato, ancora, da un parente, a un malato del Centro trapianti Padova (è il cerchio che si chiude, pure geograficamente, in una “favola” perfetta, circolare).
Puoi scendere nei dettagli, nelle cartelle cliniche, sciorinare termini tecnici o buttarla sulla medicina spiccia: ma tutto ciò che vale, tutto ciò che è importante, è che «il samaritano non destina il suo gesto a un solo soggetto, bensì alla comunità che attraverso una rete esiste. E ricordando quanto detto dal papa, è meglio non fare da soli. Scegliere di donare è una scelta di fiducia, costa poco. Qui ci sono tre malati che hanno ricevuto da tre donatori. A me è spettato l’onore di dare il calcio d’inizio, ma per questa vittoria abbiamo giocato in tanti. Penso sia stata una bella partita, tre a zero».
Tre trapianti, nella stessa giornata (del novembre passato), tutti e tre perfettamente riusciti. Tre reni che hanno di fatto unito l’Italia, grazie alle Lamborghini della polizia stradale che, come sempre, in mondo impeccabile, si sono prese carico di quei tre trasporti eccezionali. Tre sale operatorie e 110 professionisti sanitari, tra medici, infermieri, psicologi, biologi, che hanno reso possibile il “miracolo” per tre esistenze che adesso, sul serio, possono guardare al futuro e aspettare con fiducia l’anno nuovo.
La “donazione samaritana” (ci siamo arrivati) in Italia è ammessa solo per il rene ed è possibile perché oltre un decennio fa il regolamento attuativo numero 116 del 2010 ne ha fissato i paletti: da allora, anzi dal 2015 quando il Centro nazionale trapianti ha avviato il percorso, di interventi ne sono stati operati 29, l’ultimo è stato effettuato nel 2018 e di donatori complessivi se ne contano nove (epperò di coppie donatori-riceventi ben 21). Dopotutto è la solidarietà (e l’umanità) che si ripete, che fa ed è esempio. Che dà un calcio alla morte e ci ricorda che le storie belle accadono. Che ci sono anche quelle. Che in un mondo di guerre, dolore, soprusi, infamie, torture, catastrofi e disgrazie, c’è ancora chi agisce nell’altro senso. Quello della vita. Quindi sì: a rischio di suonare prevedibili, è Natale. Quest’anno un po’ di più.