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Si riparte dal via. Nel gioco dell’oca in cui si sta trasformando lo scontro tra governo e giudici sull’Albania, Giorgia Meloni ha tutta l’intenzione di rilanciare i dadi e insistere. Anche dopo l’impugnazione davanti alla Corte di giustizia europea infatti, da palazzo Chigi trapela netta la stessa indicazione: «Per noi non cambia niente, andiamo avanti».
Per di più - spiega chi segue il dossier tra i fedelissimi di Meloni, il Viminale, il ministero della Giustizia e la Farnesina - «non è che questa sia stata una mossa proprio inattesa», avendola già messa in conto quando il Consiglio dei ministri ha inserito in un decreto la lista dei Paesi sicuri. Al limite a spiazzare è stata l’immediatezza della reazione del Tribunale di Roma, talmente rapida da non consentire neppure ai 7 migranti arrivati nel centro di Gjadër a bordo della Nave Libra di completare le procedure previste dal protocollo e, quindi, al “modello Albania” di essere operativo almeno una volta.
Una reazione che agli occhi dei più vicini tra i consiglieri di Meloni finisce con l’essere un’ennesima prova evidente della politicizzazione della magistratura. E cioè di una «cattiva fede da parte dei pochi giudici» che continuano a lavorare «seguendo l’ideologia». La linea, insomma, è la stessa di qualche settimana fa.
LE MOSSE
Stavolta però se le mosse governative più immediate saranno riportare gli egiziani e i bengalesi trasferiti in Albania in un centro per richiedenti asilo in Puglia e rispedire l’imbarcazione della Marina Militare al largo di Lampedusa per un primo screening a bordo dei migranti soccorsi in acque internazionali, la reazione più a lungo raggio finirà con il coinvolgere Bruxelles e Strasburgo.
Come fanno sapere infatti fonti vicine al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi (ieri impegnato nel Comitato di ordine e sicurezza convocato a sorpresa a Napoli), il Viminale è pronto a ribattere colpo su colpo davanti alla Corte di giustizia Ue. «Faremo le nostre contro deduzioni» spiegano, sottolineando anche in questo caso come si tratti di «una strategia identica» a quella adottata quando il Tribunale di Roma ha sospeso il decreto interministeriale sui Paesi Sicuri spingendo il governo al varo del decreto poi finito all’interno del Dl Flussi.
Il rischio, d’altro canto, è proprio questo. Cioè che il governo si impantani in una lotta all’ultimo cavillo. Una guerra sporca dal climax assicurato. Le occasioni di scontro infatti non mancheranno. Dalla pronuncia della Consulta sull’ammissibilità del referendum abrogativi sull’Autonomia differenziata proposti dalle Regioni all’elezione da parte del Parlamento dei componenti mancanti della stessa Corte Costituzionale, fino alla riforma del Csm e alla separazione delle carriere che non a caso ieri è tornata ad essere evocata con vigore dal centrodestra. Una lunga serie di criticità in cui a lungo andare potrebbe dover intervenire Sergio Mattarella, aprendo a scenari giudicati poco piacevoli un po’ da tutte le parti in commedia.
GLI APPUNTAMENTI
Intanto gli occhi di tutti sono adesso puntati sul prossimo 4 dicembre. Vale a dire quando la Corte di Cassazione dovrà pronunciarsi in merito alla possibilità dei giudici di agire autonomamente oppure di doversi attenere alla lista dei Paesi sicuri stilata dal governo dando il là ad una nuova fase più intensa del conflitto.
La certezza è che Giorgia Meloni quando si mostra in video-collegamento sul palco di Bologna per provare a tirare la volata in Emilia-Romagna ad Elena Ugolini, preferisce non entrare minimamente nell’argomento. A differenza di un belligerante Antonio Tajani «Ci sono alcuni magistrati che stanno cercando di imporre la loro linea politica al governo. Questo non è accettabile». E di un più “classico” Matteo Salvini che attacca toghe e coop rosse: «Torneranno in Italia liberi di camminare - ha spiegato ieri al comizio bolognese -. Se uno di questi sette la settimana prossima compie un reato, spaccia, stupra, scippa o ammazza, chi ne dovrebbe rispondere?»
Interrogativi, questi, che il centrodestra tutto nei prossimi giorni userà ampiamente. L’idea predominante è che i primi ad essere pronti a schierarsi contro i magistrati siano gli elettori italiani. E, quindi, che quella dello scontro sull’immigrazione possa diventare una carta per drenare consenso elettorale. Specie se, come confidano sperando nel nuovo patto di Migrazione e Asilo che entrerà in vigore nel 2026 ma è già stato approvato dall’Europarlamento, a livello europeo l’interpretazione della norma contestata ieri non dovesse poi avere l’esito atteso dai giudici italiani.
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