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C’è uno strano caso, che tuttavia non agita il Pd, e questo è il problema. Quello di Marco Tarquinio, l’ex direttore di Avvenire, ora candidato alle Europee, protagonista, in passato, di una crociata, diciamo così, ultraconservatrice sui diritti, mai rinnegata nel presente. Anzi, orgogliosamente rivendicata. Rapido “the best of”. Sull’aborto sostenne, testuale, «non avrei mai votato la legge, come non voterei mai la pena di morte», inquietante equiparazione tra un boia e una donna che esercita, per dirla con le femministe, una libertà insindacabile. Poi ospitò, sul suo giornale, la proposta di «sospendere la 194 per cinque anni». Sulle coppie arcobaleno, tanto per rimanere agli anni Sessanta, ama ripetere che «non ci sono le famiglie, ma solo quella formata da uomo e donna» e dunque è sempre stato contrario anche alle unioni civili, in quanto «simil matrimoni gay», con annesse filippiche contro «le derive falsamente progressiste». Insomma, a un passo da Fanfani che, arringando contro il divorzio, paventò il rischio che le mogli scappassero con le cameriere. Su Eluana Englaro poi, sempre parlando di «boia», scrisse che era stata «uccisa».
Il repertorio, tornato di attualità nei talk che lo vedono ospite si presta a una discettazione sul perché dell’operazione. Se le medesime affermazioni le facesse Vannacci, verrebbe a ragione bollato, dai progressisti di ogni latitudine, come un troglodita. E invece sul nostro non dice una parola una sola donna del Pd, tace Zan che con Tarquinio condivide le liste (se fosse stato dall’altra parte gli avrebbe dato dell’omofobo), fa la vaga Elly Schlein mentre saltella tra una tv e l’altra spiegando che il governo è regressivo sui diritti, in particolare sull’aborto e sugli omosessuali. Insomma, si dice che nel Pd, in questo Pd, guidato «da una donna, che ama una donna e non per questo è meno donna» (sacrosanto), i diritti sono in assoluto, il faro della propria azione però poi si candida chi palesemente, in materia, potrebbe essere considerato un avversario più o meno rispettabile.
L’elemento più visibile di questa plateale incoerenza è il doppio standard tra ciò che vale per gli altri e ciò che vale per sé. Ma il cuore politico del problema (e della contraddizione) è nel non detto. E riguarda l’altra posizione che incarna Tarquinio, ovvero il no alle armi, sempre e comunque, anche con Putin a Kiev, che lo rese molto popolare nella compagnia filo russa del Teatro Ghione. Quella linea, del pacifismo integrale, è esattamente ciò che Elly Schlein pensa ma non può dire. Nelle sue corde c’è il disimpegno ma poiché, pur volendolo, è consapevole che per mille ragioni non lo può fare – si spaccherebbe il partito, non può permettersi di non accettare il vincolo esterno, eccetera eccetera – l’impegno è a bassa intensità, come un atto dovuto pieno di distinguo. E i suoi candidati, nelle liste, da Tarquinio a Cecilia Strada, esprimono esattamente il punto dove batte il cuore e quale linea si vuole tenere aperta dopo il voto. È in nome di questo che si ignora beatamente ciò che è indigeribile sui diritti, sempre con buona pace di Enrico Berlinguer stampato sulle tessere. Il caso Tarquinio cioè ci racconta che tra una bandiera conclamata (i diritti), e il vorrei ma non posso (Ucraina), vince il vorrei ma non posso.