ARTICLE AD BOX
BRUXELLES Non è ancora il giorno della resa. Ma di vittoria non parla più Volodymyr Zelensky. E suona tanto come un grido di aiuto quello che rivolge ai leader europei riuniti a Bruxelles per il primo vertice della nuova era von der Leyen. La Crimea e il Donbass, confessa il presidente ucraino a Le Parisien, sono ormai «territori controllati dai russi e non abbiamo la forza per riconquistarli». Sembra togliersi di dosso la mimetica il leader della resistenza, quando ammette con sconforto l’affanno delle sue truppe contro l’esercito russo che ovunque fa breccia nelle linee difensive ucraine a corto di uomini e rifornimenti. «Possiamo solo contare sulla pressione diplomatica della comunità internazionale per costringere Putin a sedersi al tavolo delle trattative», sospira.
Il vertice
È il tramonto di un’era, così almeno viene vissuto dai leader europei accorsi a Bruxelles, scossi per la prima bandiera bianca sventolata da Zelensky. Arriva Giorgia Meloni. Reduce da una nuova battaglia con le opposizioni al Senato, la premier incede sul tappeto rosso dell’Europa Building per la foto di gruppo. «Siamo vicini a una tregua in Ucraina?». Sorriso stretto, alza le spalle.
È ancora nebbia fitta sulla guerra ai confini europei. Provano a diradarla i leader dei principali Paesi invitati insieme a Zelensky dal segretario della Nato Mark Rutte per una cena nella sua residenza. Cellulari fuori, colloqui top secret, al tavolo siede Meloni insieme al cancelliere claudicante Olaf Scholz, il presidente polacco Duda, la danese Frederiksen, i diarchi dell’Ue von der Leyen e Antonio Costa, il ministro degli Esteri inglese Lammy. E un ingombrante convitato di pietra: Donald Trump. L’uomo nuovo alla Casa Bianca che vuole una tregua veloce in Ucraina, lo stop agli aiuti militari americani, un compromesso che congeli le conquiste russe ma dia anche al Paese aggredito qualche garanzia di sicurezza.
Già, ma quale? Rutte ne ha discusso con Trump in un vis-a-vis a Mar-a-Lago. Ora deve tornare con una proposta concreta. Insieme alla garanzia che gli europei spenderanno di più per l’Alleanza. Obiettivo 3 per cento del Pil speso in Difesa: traguardo oggi lontanissimo dalle possibilità italiane. Di questo trattano i grandi della Nato a cena. Zelensky conferma le difficoltà sul campo di battaglia. Chiede un nuovo sussulto europeo, «l’Europa non sia divisa», nuove batterie contro i missili russi. L’Ue non lo abbandona. Verga conclusioni dure contro la Russia, che sarà colpita da un nuovo pacchetto di sanzioni. Kallas, Alto rappresentante Ue, propone un salto quantico: usare direttamente i beni congelati russi per finanziare Kiev. Proposta che divide, lascia perplessa anche l’Italia. Che però ottiene di inserire nel comunicato il riferimento alla conferenza per la ricostruzione in Ucraina ospitata a Roma nel luglio del 2025.
Per Meloni l’Ucraina è ora più che mai un rebus. Ha sentito di persona, incontrando Trump all’ombra di Notre Dame, cosa pensa il presidente eletto repubblicano della guerra. È uscita fuori da quel faccia a faccia di un quarto d’ora con la convinzione che Trump non farà sconti né a Zelensky né a Putin. Una pace muscolare. Per questo la premier ha evitato finora brusche virate. Ieri al Copasir è atterrato il decimo pacchetto di aiuti militari a Kiev. Lunedì il Consiglio dei ministri approverà il decreto che proroga per un anno la possibilità di spedire a Zelensky munizioni. Segnali.
A Bruxelles passeggiano nelle stesse ore i vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini per incontrare oggi, rispettivamente, i Popolari e i “Patrioti”. Mentre è in forse un incontro a tre fra alleati, il leghista scatta in avanti e prenota un posto all’inauguration Day di Trump. Meloni tentenna, questione di protocollo.
Ucraina, la crisi dei soldati nordcoreani di Kim: «Tattiche vecchie di 70 anni e volti bruciati»
La conta al rovescio
Il 20 gennaio sarà una cesura per tutti. Soprattutto per Zelensky. A Palazzo Chigi sono consapevoli del cambio di fase. I rapporti dell’intelligence italiana affrescano un quadro drammatico dei combattimenti nelle trincee. Dal Donbass alle regioni di Zaporizzhia e Kharkiv, ovunque le linee ucraine cedono terreno. Per questo da tempo, spiegano fonti diplomatiche, sono gli ucraini a spingere per la trattativa. Zelensky però vuole garanzie. E se la membership nella Nato è una chimera, spera almeno in un invito ad aderire all’Alleanza. Sul punto l’Italia tentenna. Troppo pericoloso aprire le porte a un Paese in guerra, metterebbe a rischio l’articolo 5 sulla difesa collettiva, «il gioiello nel caveau».
A tavola con Rutte si discute della proposta di un contingente europeo di peacekeepers. La Francia immagina una forza di quarantamila uomini da schierare al confine con la bandiera dell’Onu. Meloni non è contraria a priori, ma resta prudente.
Tra Lettonia, Lituania e Bulgaria sono schierati più di mille militari italiani con la divisa della Nato. Forze di pronto intervento a cui il governo ha aumentato i fondi in Manovra: più di un miliardo in tre anni. Una parte potrebbe essere smobilitata in fretta. Ma serve prima una tregua che ancora non c’è. Su tutto pesa la doppia incognita Trump-Putin. E l’impressione che il pallino della crisi sia nelle mani dei due uomini forti a Washington e Mosca.