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Alberto Trentini prigioniero in Venezuela, il caso si complica. Per Caracas è un terrorista: «Aiutava i sovversivi»

7 ore fa 1
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Lo hanno arrestato con l’accusa di essere in contatto con frange ribelli che stanno organizzando un’insurrezione per destituire Nicolás Maduro. Per il regime di Caracas, quindi, Alberto Trentini è un terrorista. Il 15 novembre scorso il cooperante veneziano è stato fermato insieme all’autista venezuelano della sua Ong “Humanity e Inclusion” a un posto di blocco a Guasdalito, al confine con la Colombia, nello Stato frontaliero di Apure che si sa è occupato dalla guerriglia. La Dgcim, la Direzione generale del controspionaggio militare utilizzata per far scomparire gli avversari politici, lo avrebbe perquisito e nel suo cellulare avrebbe trovato dei messaggi scambiati con i dissidenti. Secondo l’agenzia di intelligence venezuelano, il 45enne avrebbe usato come copertura l’organizzazione umanitaria per avere libertà di movimento e di contatti. Pur non essendo state formalizzate le accuse nei suoi confronti, né convalidato l’arresto da un giudice entro le 48 ore, Trentini sarebbe stato rinchiuso in un commissariato di polizia della zona di Guasdalito e poi trasferito in una cella di una struttura di Caracas dove vengono portati dai servizi segreti i prigionieri politici. La sua è una delle tante “desapariciones forzadas” (sparizioni forzate) e fino a due giorni fa non si sapeva nemmeno dove si trovasse.

L’APPELLO DEL MINISTRO

«Attraverso un incontro (tenutosi a Roma mercoledì, ndr) tra il segretario generale e l’incaricato d’affari dell’ambasciata in Venezuela - ha spiegato il ministro degli Esteri Antonio Tajani - ci è stato confermato che Trentini è detenuto. Abbiamo chiesto una visita consolare e abbiamo ribadito la richiesta di liberare lui e tutti gli altri prigionieri politici». Fino a ieri mattina erano otto gli italo-venezuelani in carcere nel Paese sudamericano, poi in tarda serata il titolare della Farnesina ha annunciato: «Apprendiamo con soddisfazione la notizia della scarcerazione di un italo-venezuelano, che era detenuto dalla Guardia Nazionale di San Juan de Los Morros. «Stiamo lavorando in tutti i modi per venire a capo della situazione, nello stesso modo in cui abbiamo lavorato per riportare a casa gli altri italiani da quando siamo al governo, Piperno prima, Sala poi». «Mi sento in dovere di ricordare pubblicamente che vi sono altri detenuti con passaporto italiano, come Americo de Grazia, del quale il nostro Parlamento ha più volte sollecitato la liberazione», ha commentato Pier Ferdinando Casini.

UN ALTRO SCARCERATO

Sempre ieri è stato scarcerato anche l’attivista venezuelano Carlos Correa, del quale non si avevano notizie da 9 giorni. Era stato rapito da agenti incappucciati del governo di Maduro. La sparizione forzata di Correa - direttore dell’ong “Espacio Público”, dedicata alla promozione e difesa della libertà di espressione - aveva scatenato un’ondata di proteste tra i sindacati dei giornalisti e le organizzazioni per i diritti umani. Sono finite dietro le sbarre almeno 83 persone dall’inizio dell’anno, che si aggiungono ai circa 2.000 prigionieri politici arrestati a seguito delle proteste contro il risultato delle elezioni presidenziali del 28 luglio, considerate fraudolente. Il caso di Correa, che soffre di problemi di salute, ha suscitato la solidarietà anche del presidente colombiano di sinistra, Gustavo Petro, finora solido alleato di Maduro, nonché di Amnesty International e dei governi di diversi altri Paesi.

«OLIAMO I FUCILI»

I 14 Paesi dell’Organizzazione degli Stati americani (Osa) hanno respinto l’insediamento di Nicolás Maduro per «mancanza di legittimità democratica», alludendo alla mancanza di «prove verificabili dell’integrità elettorale». «Preoccupate per il continuo deterioramento della situazione politica, economica, sociale e umanitaria in Venezuela», le delegazioni di Argentina, Canada, Cile, Costa Rica, Ecuador, El Salvador, Stati Uniti, Giamaica, Guatemala, Panama, Paraguay, Perù, Repubblica Dominicana e Uruguay hanno esortato il «regime dittatoriale venezuelano a ristabilire l’ordine democratico» per far posto a una «transizione pacifica». Di tutta risposta, Maduro è tornato a ventilare l’ipotesi di schierare l’esercito contro un eventuale blitz militare estero nel suo Paese: «Oliamo i nostri fucili perché questa terra sacra non accetterà mai lo stivale insolente dei paramilitari stranieri o imperialisti».

I Paesi Bassi mercoledì hanno ordinato al Venezuela di ridurre da quattro a due il numero dei diplomatici accreditati all’Aja, come ritorsione alla decisione adottata il giorno prima da Caracas di limitare a tre per ogni paese il numero dei diplomatici francesi, olandesi e italiani, definendo «ostile» il comportamento dei rispettivi governi nei confronti di Maduro. E ieri l’Eliseo ha annunciato che «prenderà, a titolo nazionale, tutte le misure di reciprocità che giudicherà necessarie».

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