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WASHINGTON. Succede tutto in poche ore, il mondo in cui si muove Trump è rapido, mutevole e forse le certezze sono solo nella mente del tycoon. Quando il pool di reporter viene convocato nello Studio Ovale senza preavviso, nessuno sa cosa accadrà.
La giornata – e siamo solo alle 13:30 – è già una gita sulle montagne russe fra frenate sui dazi, minacce ripetute, mercati che cadono e si riprendono e il dollaro che svetta sulle altre valute.
È mattina presto quando The Donald fa il primo giro di telefonate. Con Justin Trudeau, premier canadese, c’è un confronto aspro ma aperto. Il Canada è osso più duro, lo riconosce anche Trump che a Ottawa ricorda che «le banche Usa non possono fare affari là» e che i canadesi «non comprano i nostri prodotti agricoli e le auto».
Non c’è però alcun accordo e la Casa Bianca offre al vicino di casa di tornare ai colloqui alle 15 con qualcosa di più concreto per evitare la tagliola dei dazi.
Il secondo colloquio è proficuo e i dazi previsti per la mezzanotte di ieri vengono sospesi per trenta giorni dopo che il Canada promette di implementare un piano per il controllo dei confini da 1,3 miliardi di dollari. Elicotteri, tecnologia e personale, rafforzamento del coordinamento con gli americani e ulteriori risorse per contrastare la piaga del fentanyl. Per questo verrà nominato uno “zar”. I cartelli della droga finiscono nella lista del terrorismo. Lavoreranno – fa sapere Trudeau anticipando la Casa Bianca - 10mila agenti di frontiera. È uno sforzo che scongiura i dazi del 25% sui prodotti canadesi e del 10% su gas e greggio.
Va bene al primo colloquio invece con Claudia Sheinbaum, presidente del Messico, «Lei mi piace, bella conversazione», schematizza Trump.
I dazi doganali – 25% su tutte le merci – sono sospesi per 30 giorni perché Sheinbaum promette a Trump lo schieramento di 10 mila soldati al confine con gli Usa e un impegno senza sosta nel contrasto all’immigrazione illegale e allo spaccio di Fentanyl. Quasi una fotocopia di quello con il Canada.
L’accordo con Sheinbaum evita la recessione in Messico, data per scontata, e l’aumento dei prezzi di molti beni – 3000 dollari in più il costo di una singola automobile. Washington ai messicani promette l’impegno per prevenire l’ingresso in Messico di armi sofisticate.
Quando la notizia diventa pubblica, Wall Street si rimette in pista dopo i tremori per la “guerra commerciale”. L’S&P 500 verso mezzogiorno dimezza le perdite, da -1,5% risale a -0,76%. Gli altri indici seguono rotte simili, ma le perdite per il Nasdaq sono più pronunciate, 1,2%.
Pagano di più i mercati stranieri, Nikkei a -2,66%, il Dax di Francoforte -1,40%, meglio Londra, giù dell’1% mentre Milano contiene le perdite a meno 0,69%. L’euro soffre, scivola sino a 1,02 per poi risalire a 1,03 “spinto” dai diecimila soldati messicani al confine.
Karoline Leavitt, parlando con alcuni reporter, ha negato che il lunedì nero di Wall Street abbia pesato sulla retromarcia di Trump.
Nei prossimi trenta giorni Rubio, e i ministri di Tesoro Bessent e Commercio Lutnick, guideranno una delegazione per negoziare i prossimi step con il Messico.
La linea sul Messico e il Canada, e il pressing dello scorso fine settimana sulla Colombia, mostrano quanto per Trump la leva dei dazi sia uno strumento negoziale formidabile. Lo brandisce anche con gli europei, «che sono totalmente fuori linea» e per «loro le sanzioni arriveranno». Deficit commerciale, «350 milioni di dollari», minore impegno finanziario sul fronte ucraino, spese militari in ambito Nato basse. The Donald mette tutto insieme in un grande calderone nel quale gli europei sono «degli abusatori e vogliono però un accordo». Benissimo, «basta che sia equo», dice. Vorrebbe che l’Europa almeno pareggiasse i conti con gli Usa. Disturba al presidente che «sulle strade delle città europee non ci siano Chevrolet e auto americane». Mentre in America, «è pieno di Bmw, Mercedes e Volkswagen». Dalla raffica di tariffe - secondo il Daily Telegraph saranno lineari su tutti i prodotti e al 10% - esenti gli inglesi.
Nella visione di Trump sembra che tutto abbia un prezzo, anche l’Ucraina. A cui lancia un’offerta: «Kiev garantisce agli Usa la consegna di terre rare e avrà gli aiuti». Mentre sugli organismi internazionali continua la sua ritirata, con l’ipotesi di uscire dal Consiglio per i diritti umani dell’Onu.
Resta la Cina, ci sono imposizioni al 10%. Pechino ha fatto ricorso alla Wto. Nelle prossime 24 ore, dice Trump, «sentirò Xi Jinping». Venerdì tocca al leader di Panama, altro fronte aperto di una partita identica, la riscrittura degli equilibri globali. In cui Washington è pronta a gettare un altro strumento: un fondo sovrano. Lo ha lanciato ieri con un ordine esecutivo nello Studio Ovale. E gli ha affidato anche una missione, «potrebbe acquistare TikTok». —
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