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BRUXELLES. In Europa, Giorgia Meloni, ieri ci è andata vestita da pompiere. Il tailleur grigio iridiscente con cui varca in silenzio il portone di palace d’Egmont, non nasconde la missione con cui la premier si è presentata al tavolo del Consiglio Ue informale. «Evitiamo il muro contro muro» con Donald Trump dice, provando a sminare le proposte di chi – come Emmanuel Macron e Olaf Scholz – preferirebbe rispondere al fuoco a stelle e strisce. Le minacce con cui il presidente americano piccona le certezze europee colpiscono nel segno. Il vertice che si sarebbe dovuto occupare “solo” dell’aumento delle spese militari e del loro finanziamento, finisce a discutere per ore dei dazi in arrivo.
La tensione è palpabile. I leader si alternano, modulando sfumature e interessi nazionali. Meloni prova a cavalcare l’immagine da pontiere dei due Continenti costruita con le missioni lampo di Mar-a-Lago e di Washington. Francia e Germania, è inevitabile, non ci pensano proprio a legare il destino europeo al rapporto personale rivendicato dalla premier e dall’ungherese Viktor Orbán. L’asse Parigi-Berlino spinge sul tasto dell’orgoglio Ue e sulla capacità di restare uniti. Ancora una volta, però, l’idea di una compattezza declinata da molti, si sfarina davanti agli abituali distinguo di tutti. «Se sarà attaccata l'Europa dovrà farsi rispettare e reagire» scandisce Macron, raccogliendo un certo seguito tra i colleghi. «Reagire in maniera scomposta sarebbe un errore» dice invece la premier, rassicurando i molti che legittimamente faticano a fidarsi di Trump. La discussione a porte chiuse scivola via assieme alla giornata. Per undici ore, più un’ulteriore appendice a cena, l’ombra del Tycoon si allunga sull’Europa. Nel pieno della discussione a porte chiuse, l’assist inatteso che un po’ stempera le resistenze europee arriva proprio dal di là dell’Atlantico. In pochi minuti il presidente americano terremota gli alleati. Con una pioggia di dichiarazioni descrive come «atrocità» le eventuali contromosse alle sue promesse di tassare i prodotti a marchio Ue. Poi, però, fa sapere che con la Cina parlerà nelle prossime ore delle imposizioni promesse. Si può trattare con tutti, insomma. La controprova arriva dal Canada e dal Messico con i dazi al 25% che sarebbero dovuti entrare in vigore sospesi per un mese. Il fronte negoziale aperto da Justin Trudeau e dalla presidente messicana Claudia Sheinbaum costa caro al Paese centroamericano (10mila militari dovranno proteggere il confine dal traffico di droga e di esseri umani), ma è il cenno atteso da Meloni. La presidente del Consiglio si gioca subito la carta al tavolo dei Ventisette: «Trump è un negoziatore» garantisce, e le frenate imposte ieri «lo dimostrano».
«Calma», diventa il mantra italiano. Prima di elaborare controffensive bisogna capire qual è l’entità dell’attacco. Ovvero, spiega una fonte diplomatica, «Quali saranno i prodotti colpiti dai dazi e che entità avranno». Più che rispondere al fuoco bisogna «assorbire» l’impatto. Sul medio periodo preparandosi ad acquistare armi e gas dagli Stati Uniti (ma le risorse a disposizione sono molto limitate), in modo da ammansire Trump. Sul breve, invece, la chiave è compensare i dazi americani entrando in altri mercati. Non è un caso che l’emiro Mohammed Bin Zayed sia atteso a Roma prima della fine del mese né che, guardando all’Asia, Meloni è ormai pronta a firmare con il Vietnam il nuovo piano d’azione per l’attuazione del Partenariato strategico. Si prova a scavare una trincea capace di reggere l’onda d’urto a stelle e strisce. Un tentativo condiviso anche da von der Leyen che, ad esempio, sta accelerando i preparativi per una visita in India.
La partita con gli Usa, del resto, si gioca sui segnali reciproci. Sul fronte della difesa ad esempio l’Italia si prepara ad accelerare e centrare nel 2027 (un anno prima di quanto preventivato) l’obiettivo del raggiungimento del 2% del Pil per le spese militari.