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Secondo le analisi dell’International Cryosphere Climate Initiative (ICCI), tredici porti chiave per il traffico globale di superpetroliere rischiano danni gravissimi con un innalzamento del livello del mare di appena un metro. Tra questi, spiccano due porti dell’Arabia Saudita, Ras Tanura e Yanbu, gestiti dalla compagnia statale Aramco, responsabili del 98% delle esportazioni petrolifere saudite. Anche i porti statunitensi di Houston e Galveston, fondamentali per il più grande produttore mondiale di petrolio, sono nella lista dei più vulnerabili. Seguono i porti di altre nazioni strategiche, come gli Emirati Arabi Uniti, la Cina, Singapore e i Paesi Bassi.
Le cause e le proiezioni
L’ICCI ha sottolineato che l’innalzamento del livello del mare è uno degli effetti più devastanti e a lungo termine della crisi climatica.
Pam Pearson, direttrice dell’ICCI, ha dichiarato: «È ironico che questi porti per petroliere si trovino a un livello del mare inferiore a un metro, considerato che il loro funzionamento dipende proprio dall’uso dei combustibili fossili, la principale causa del riscaldamento globale». Le proiezioni parlano chiaro: un innalzamento di un metro è ormai inevitabile entro il prossimo secolo, ma potrebbe verificarsi già entro il 2070, qualora le emissioni di gas serra non vengano drasticamente ridotte. Scenari ancora più estremi prevedono un innalzamento di tre metri entro il 2100.
Conseguenze già in atto
I ricercatori sottolineano che l’innalzamento del livello del mare sta già avendo effetti visibili: mareggiate più forti, inondazioni costiere e infiltrazioni di acqua salata stanno mettendo sotto pressione infrastrutture e territori costieri. Le difese contro le inondazioni, seppur costose, potrebbero non bastare. Murray Worthy, di Zero Carbon Analytics, ha commentato: «Alla fine, è una battaglia persa. Non si può continuare a costruire barriere marine sempre più alte».
Un cambiamento necessario
La soluzione per fermare questa spirale negativa, secondo gli scienziati, è chiara: ridurre drasticamente le emissioni di gas serra e accelerare la transizione verso le energie rinnovabili. James Kirkham, consulente scientifico capo dell’ICCI, ha affermato: «Rifiutarsi di chiudere i rubinetti del petrolio significa tenerli aperti per l’innalzamento del livello del mare. I leader mondiali devono agire ora per evitare ulteriori disastri». La risposta dei principali attori globali, però, non è incoraggiante. L’Arabia Saudita, pur essendo uno dei paesi più colpiti, è stata accusata di ostacolare i progressi nei negoziati internazionali su clima e sostenibilità. Gli incontri recenti, come la Cop29, hanno visto il paese opporsi a compromessi significativi.
Il rapporto dell’ICCI si basa su dati solidi, inclusi quelli sulle esportazioni petrolifere forniti da Bloomberg e le mappe di innalzamento del livello del mare di Climate Central. Secondo le stime, Ras Tanura e Yanbu hanno esportato petrolio per un valore di 214 miliardi di dollari nel 2023, rappresentando circa il 20% delle esportazioni globali di petrolio. Come ha sottolineato Worthy: «L’affidamento sui combustibili fossili è una strada verso il disastro. I governi devono scegliere tra la sicurezza energetica sostenibile e i rischi crescenti legati ai cambiamenti climatici».