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Libano, i militari italiani di Unifil tra droni e notti nei bunker: «Qui è sempre più difficile»

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Tra le basi di Shama, Naqoura e gli avamposti sulla frontiera che separa Israele e Libano, la vita dei militari italiani di Unifil è fatta del rumore dei caccia, dei droni e dei missili. Per la Difesa, la priorità in questo momento non è solo riuscire a svolgere il proprio lavoro, ma soprattutto garantire la sicurezza tutti i militari impegnati nella missione di pace delle Nazioni Unite. Più di 1.200 donne e uomini e centinaia di mezzi schierati sulla linea del fuoco. Costretti a rientrare di corsa nei bunker ogni volta che scatta l’allarme. Ogni volta che le esplosioni circondano le basi e la situazione rischia di degenerare.

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LA TENSIONE
La tensione è alta. E il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, ha sottolineato che il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha chiesto all’Onu “garanzie” per la sicurezza dei nostri soldati. Ieri, tra la città di Tiro e il confine con Israele, per tutto il giorno si sono alzate colonne di fumo. I missili israeliani hanno martellato per ore quello che è uno dei santuari di Hezbollah in Libano. E i villaggi di quella martoriata striscia di terra sono diventati gli obiettivi principali delle Israel defense forces, costringendo gli ultimi cittadini rimasti a sfollare verso nord. Una pioggia di fuoco senza sosta per distruggere depositi e postazioni di lancio dei miliziani. La peggiore da quando è iniziata questa strana guerra tra Idf ed Hezbollah che finora era bassa intensità, ma che adesso è diventata una vera propria escalation. E a ridosso della Blue Line, per gli italiani del contingente di Unifil è stato l’ennesimo giorno di massima allerta.

Al comando del generale Stefano Messina, alla guida del Settore Ovest di Unifil dal 2 agosto, i membri del contingente, principalmente militari della Brigata “Sassari”, cercano di portare avanti le loro operazioni al meglio. Pattugliamenti, monitoraggi del confine, supporto alle forze armate libanesi. Poi, quando il pericolo è troppo elevato, si va nei rifugi in attesa che la situazione migliori e si possa tornare ognuno ai propri compiti. Un lavoro apprezzato non solo dagli alleati, ma soprattutto dal governo di Beirut e dalla popolazione locale, che sa che i caschi blu rappresentano forse uno degli ultimi ostacoli a una guerra su vasta scala. Ma la situazione sul campo è sempre più difficile. E le violazioni delle risoluzioni Onu sono ormai una costante.

LA SITUAZIONE

L’aggiornamento con Roma e con New York è costante. E il contingente italiano è pronto a ogni scenario. «La decisione su una possibile evacuazione spetta alla Unifil: al momento i nostri uomini sono in sicurezza, compatibilmente con la situazione di grande tensione lungo il confine tra Israele e Libano», ha dichiarato ieri Tajani. E la preoccupazione è stata confermata anche dalla stessa missione Onu. «Qualsiasi ulteriore escalation di questa pericolosa situazione potrebbe avere conseguenze di vasta portata e devastanti, non solo per coloro che vivono su entrambi i lati della Blue Line, ma anche per la regione più ampia», hanno fatto sapere i caschi blu. Il comandante della missione, Aroldo Lazaro, parla con tutti, con i libanesi e con gli israeliani. Deve garantire la sicurezza dei contingenti sotto il suo comando. Ma deve anche far capire che lì, i peacekeeper sono consapevoli che la situazione è contraria a quanto richiesto dalla comunità internazionale. «È essenziale impegnarsi nuovamente e pienamente nell'attuazione della risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza Onu», ribadiscono dal comando. Ma ora è tutto nelle mani di Israele ed Hezbollah.

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