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Liliana Segre e l’Afd: “Pronta a mostrare quei numeri tatuati sopra il mio braccio”

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CITTA’ DEL VATICANO. «Di fronte alle deportazioni di Trump, ai migranti respinti o rinchiusi solo perché “colpevoli” di essere nati altrove, non posso non ricordare la sensazione di non essere voluti da nessuno». La sorte dei bambini «mi è sempre stata a cuore. Sono stata una bambina anch’io e non potrò mai dimenticare quello che mi è successo». Alla vigilia del suo intervento al Summit internazionale sui Diritti dei Bambini, intitolato «Amiamoli e proteggiamoli», Liliana Segre lancia un appello alla responsabilità degli adulti e delle istituzioni. L’evento, che si svolge oggi nel Palazzo apostolico vaticano, è organizzato dal Pontificio Comitato per la Giornata mondiale dei Bambini, presieduto da padre Enzo Fortunato, e sarà aperto e chiuso da papa Francesco. La Senatrice a vita, superstite dell’Olocausto e testimone della Shoah, da sempre impegnata nella difesa dei più fragili, riflette sull’urgenza di tutelare i diritti dell’infanzia in questo tempo segnato dai conflitti. E lancia forti messaggi sulle migrazioni forzate e sulle nuove forme di estremismo politico di destra.

Quanto è importante, oggi, fermarsi a riflettere sui diritti dei piccoli in questa epoca segnata da guerre, crisi e incertezze per il futuro?
«Le darò una risposta personale. Sono diventata bisnonna da un mese e mezzo. La nascita di questa bisnipotina, oltre a darmi gioia e tenerezza, mi porta anche una preoccupazione ancora più grande per il futuro. Sono già nonna e il destino dei miei nipoti mi sta profondamente a cuore. Ma alla mia età, in un tempo così difficile, questa nuova nascita aggiunge un'ulteriore inquietudine. È difficile persino per me capire dove finisca la preoccupazione e dove inizi la gioia. La sorte dei bambini mi è sempre stata a cuore. Sono stata una bambina anch’io e non posso mai dimenticare quello che è successo a me bambina. L’esperienza personale ha segnato tutta la mia vita. Oggi ho 94 anni, eppure il peso di quella memoria non si affievolisce».

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Al Summit in Vaticano si parlerà delle violazioni dei diritti dei bimbi: lavoro minorile, tratta, povertà. Quali responsabilità hanno le istituzioni nel contrastare queste ingiustizie?
«Io credo che negli ultimi decenni non ci sia stato un governo solo, o qualcuno in particolare, che abbia trascurato questi temi. Non potrei puntare il dito contro uno piuttosto che un altro. La mia impressione, da nonna, è che ci sia un disinteresse assoluto, un voltare la faccia dall’altra parte. Ed è terribile, perché questa indifferenza è il male che combatto da tutta la vita. I problemi urgenti sembrano sempre altri, e così i bambini vengono dimenticati. I loro diritti, per colpa degli adulti, sono sempre i primi a essere sacrificati, se non addirittura schiacciati. Mancanza di educazione, di coesione familiare, i divorzi, le famiglie allargate, il disgregarsi delle relazioni… i bambini diventano accessori delle decisioni degli adulti. E sono i bambini a pagare il prezzo più alto».

L’odio e la divisione trovano terreno fertile sui social, dove sono presenti ragazzini sempre più giovani. Come possiamo contrastare questa spirale?
«Istintivamente devo darle una risposta estremamente pessimista: non c’è niente da fare. L’unica arma contro l’odio è l’amore. Bisogna dare molto amore. Se un bambino cresce sapendo di essere stato molto amato, avrà dentro di sé una corazza, uno scudo che lo accompagnerà per tutta la vita. Questo io lo devo ai miei genitori. È stato decisivo. Fa la differenza. Perché è dall’amore ricevuto che si impara chi si è e che cosa si vuole diventare. Poter dire “sono stato molto amato” dà una forza straordinaria. Glielo consiglio per i suoi figli: non faccia mai sentire che lei non c’è, faccia sempre sentire che c’è».

Ci sono minori non accompagnati che fuggono da violenze e povertà, e contemporaneamente si registra un atteggiamento politico da molti definito «cattivismo», di chiusura e rifiuto. Che cosa ne pensa?
«La mia idea non nasce solo dal fatto che sono un’anziana signora con le sue opinioni, ma dall’esperienza diretta. Il 28 gennaio ero al Quirinale, dov’ero stata invitata, e, dopo la cerimonia ufficiale, due ragazzi molto simpatici mi hanno chiesto con quali parole definirei la speranza per il futuro. Ho risposto con una sola: accoglienza».

Che cosa ha pensato vedendo l’immagine dei migranti in catene, deportati, negli Stati Uniti di Donald Trump? E l’inasprimento delle politiche migratorie in Italia, su cui si sta discutendo in questi giorni? Il politico quale atteggiamento dovrebbe avere nei confronti dell’immigrato?
«Devo rispondere di nuovo partendo dalla mia esperienza personale, che non può prescindere da queste visioni di oggi. Io sono stata considerata “diversa” fin da bambina. Le leggi fasciste mi hanno impedito di andare a scuola, e nessuno si è preoccupato di me. Nessuno si è interessato quando sono stata imprigionata senza avere fatto nulla di male, ma solo per la colpa di essere nata. Nessuno si è mosso quando la mia famiglia è stata deportata e io sono tornata da sola. E nessuno si è preoccupato neanche al mio ritorno, di capire che cosa succede a uno che viene deportato in altro posto. Oggi vedo “spettacoli” come le deportazioni di Trump; i respingimenti; campi in cui rinchiudere persone colpevoli solo di essere nate altrove; vediamo decidere che persone in arrivo sono da rispedire indietro o da collocare in un altro piccolo lager in una città semi-sconosciuta di un’Albania non lontana. Ecco, davanti a tutto ciò non posso che ricordare personalmente che cosa vuol dire la sensazione, il dolore, di non essere voluti da nessuno. Oggi vedo la stessa indifferenza di allora, quel voler nascondere il problema».

Che effetto le fa la Germania alla mercé dei neonazisti di Afd?
«Vuole che le dica il mio pensiero, o vuole che le mostri il numero che ho tatuato sul braccio per la colpa di essere nata?».

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