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Per «mettere fine alla guerra» in Ucraina, Donald Trump e Vladimir Putin si preparano ad incontrarsi. Mar-a-Lago annuncia, il Cremlino genericamente conferma. Volodymyr Zelensky lo apprende mentre sta rientrando a Kiev da Roma. Nella mente del Presidente ucraino l’eco delle buone parole europee e italiane, ascoltate a Ramstein alla riunione del gruppo di contatto per la Difesa dell’Ucraina, ripetutegli da Giorgia Meloni, confermate dal Presidente Sergio Mattarella, è stata spazzata via dall’assillante dubbio russo-americano: di una “pace” ucraina concordata in un vertice al quale l’Ucraina non sia presente. Zelensky ne è sempre stato cosciente. Ha fatto buon viso a cattivo gioco.
«Trump può aiutarci a fermare Putin», perché «è molto forte e imprevedibile», aveva detto pochi giorni fa. Continuerà a farlo – cos’altro può fare? Trova conforto, oltre oceano, negli ambienti repubblicani pro-Ucraina che assicurano che Trump non può e non vuole apparire debole e arrendevole nei confronti del Presidente russo, e quindi si farà portatore di una proposta che non gli conceda tutto quello che vuole e, a tal fine, sia pronto ad usare la leva dell’assistenza militare all’Ucraina.
È del resto la tesi del «non abbandono americano dell’Ucraina» sposata dalla Presidente del Consiglio che nella conferenza stampa di fine anno ha detto «Trump ha la capacità di dosare diplomazia e deterrenza e prevedo che anche questa volta sarà così. Lui può andare avanti nella soluzione, ma non prevedo che questo significhi abbandonare l’Ucraina», specificando di «non prevederne il disimpegno». Può darsi.
Giorgia Meloni era reduce dalla visita lampo a Mar-a-Lago durante la quale avrà parlato col Presidente eletto anche di Ucraina e ne avrà sostenuto la causa. Diamogliene credito per quanto sia stata estremamente attenta a non mettere in bocca a Trump alcuna assicurazione. Anzi aveva specificato «non leggo questo (l’abbandono dell’Ucraina) dalle sue dichiarazioni». In realtà, Volodymir Zelensky ha di che preoccuparsi. L’amministrazione Biden sta spremendo gli ultimi aiuti militari. Prestissimo la nuova amministrazione che conterà molte personalità esplicitamente contrarie a quest’assistenza, come il Vice Presidente JD Vance, avrà la mano sul rubinetto delle forniture.
L’Ucraina può trarre qualche conforto dallo sprazzo di realismo che ha indotto Donald Trump ad ammettere che non si farà la pace in ventiquattrore ma «in meno di sei mesi», durante i quali sarà presumibilmente messa in grado di continuare a resistere all’invasione russa. Ma a Kiev non è certo sfuggito che nella conferenza stampa fiume di martedì Trump aveva detto di “simpatizzare” con la posizione russa contraria all’ingresso dell’Ucraina nella Nato, espressa in termini che sembrano quasi giustificare a posteriori l’aggressione russa del 2022. Sulla quale egli ha sempre sorvolato. Il futuro del gruppo di Ramstein è incerto.
Il Pentagono che ne aveva la guida ha già avvertito: se gli Usa si tirassero indietro un altro Paese potrebbe prenderla. Ma chi e con credibilità? E soprattutto, con che mezzi per rimpiazzare le forniture militari americane? I limiti di capacità europei, di stock e di produzione industriale, sono già venuti impietosamente alla luce. Ammesso che tenga la volontà politica, traballante in sede Ue ove sia necessaria l’unanimità.
Giorgia Meloni, in buona fede, ha rinnovato a Zelensky la promessa di assistenza a 360 gradi, ma senza gli americani dove sono le indispensabili risorse? In tre anni di guerra il Presidente ucraino ha navigato in acque internazionali migliori. Ma si adatta. Parla sempre meno di “vittoria” e sempre più di fine della guerra entro l’anno. Questa prospettiva incontra però un muro del silenzio russo. Vladimir Putin non ricambia la fretta.
Continua a insistere che “l’operazione speciale” continuerà fino che non abbia raggiunto tutti gli obiettivi. Si mostra però pronto a discutere di pace con Trump anziché con Zelensky – con Zelensky solo dopo averne parlato con Trump (forse). Nel “piano di pace” del Presidente eletto americano Putin pensa di trovare abbastanza da soddisfare i suoi scopi. Alle spalle di Zelensky. Che rischia di trovarsi con una pace negoziata in un vertice bilaterale russo-americano, e principalmente fra i due leader, senza aver potuto far sentire la sua voce.
Per quanto dica di fare affidamento sulla “forza” di Donald Trump sa benissimo che non ne uscirebbe niente di buono per Kiev. E forse neanche per l’Europa e la Nato. Ai tempi della guerra fredda si guardava ai vertici Usa-Urss con un misto di attesa e di speranza. Nel caso di un Trump-Putin il sentimento prevalente sarà di apprensione. Verso due leader che non esiterebbero a mettersi d’accordo fra di loro e presentare il conto ad altri.