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Ucraina, Tricarico: «Non solo munizioni per l?artiglieria, l?Italia rafforzerà la sorveglianza aerea»

7 ore fa 1
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«La collaborazione che diamo all’Ucraina ha l’obiettivo di far concludere il conflitto a Zelensky con la schiena dritta e non in ginocchio. Ma l’idea nostra e dell’Europa è anche quella di continuare ad assistere Kiev oltre la guerra, perché metta a punto una capacità militare che non possiede ancora in modo soddisfacente». Il generale Leonardo Tricarico, presidente della Fondazione Icsa, già capo di Stato maggiore dell’Aeronautica e consigliere militare di tre premier, ritiene che con la visita del ministro della Difesa, Guido Crosetto, in Ucraina l’aiuto italiano «si confermerà pregiatissimo e non riguarda solo sistemi d’arma di difesa aerea e munizionamento per l’artiglieria. C’è anche un importante contributo aeronautico che il nostro Paese sta continuando a fornire».

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Si riferisce ai G-550 Caew per la sorveglianza aerea?

«Se l’aviazione russa a un certo punto ha capito che non poteva fare scorribande nello spazio aereo ucraino un motivo ci sarà, e l’Italia ha contribuito in maniera molto significativa. Ora riscontriamo l’apparente volontà degli Stati Uniti di arrivare a un negoziato, termine che in questi tre anni di guerra non era stato mai usato dagli americani. Noto una grande sproporzione tra la dozzina di viaggi del segretario di Stato Blinken in Medio Oriente, più tutti quelli del capo della Cia, e il fatto che invece in Ucraina non è stato sollevato un dito. Quando il generale Usa Mark Milley disse che non ci sarebbe stata una soluzione militare, se mai qualcuno si fosse distratto sarebbe stato il momento giusto per tentare il negoziato. La responsabilità di non averlo fatto è collettiva, l’azionista di maggioranza porta però il fardello maggiore».

Con Donald Trump è cambiato il passo?

«Pur con tutte le controversie, contraddizioni e grossolanità, Trump ha dato l’idea di voler essere il presidente degli Usa che chiude le guerre e non le apre, e che mira al Nobel per la Pace. Staremo a vedere con quali rituali, partecipanti, luogo e piattaforma per cominciare a trattare, dopo la morte di centinaia di migliaia di soldati e civili che si potevano evitare».

L’Italia che cosa può fare?

«Continuare a prendere per mano gli ucraini e guidarli verso l’acquisizione di uno standard che è il nostro. Non sarà facile. È un processo molto lungo. L’Ucraina aveva già iniziato un processo a guida statunitense e britannica. Forse meglio non parlarne troppo, potrebbe essere controproducente se a Putin viene il mal di pancia. In particolare, fin dall’inizio gli ucraini hanno avvertito la precarietà, anzi l’inconsistenza del loro strumento aereo, e già nelle prime settimane ci fu un pilota ucraino che ipotizzò l’acquisizione degli F-16, che poi sono arrivati ma tardi, in quantità limitata e non si sa con quale preparazione. In Sardegna, l’Italia ha il più professionale e aggiornato centro d’addestramento al mondo per piloti da combattimento. È la prima cosa che metterei a disposizione degli ucraini».

E sul terreno?

«Gli italiani hanno una vocazione per le missioni di addestramento, basta guardare alle decine di missioni che abbiamo in giro per il mondo: know how e riconoscibilità che sarebbero molto utili per la ricostruzione delle strutture di sicurezza e difesa ucraine. Lo stesso vale per l’industria del settore, dove abbiamo nicchie di eccellenza. Le norme che regolano l’esportazione del materiale da difesa devono però essere riviste o almeno non attaccate come nel tiro al piccione rispetto a un’attività istituzionale doverosa di assistenza all’industria nazionale degli armamenti. Vedo oggi un’attività diplomatica seria del presidente Giorgia Meloni e del governo. Un esecutivo stabile e in buone mani ci consente di mettere a segno colpi in politica estera, una condizione che non si ripeterà facilmente quando gli altri Paesi-guida dell’Europa usciranno dal loro stato comatoso».

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