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Beirut, radi di Israele: altro colpo a Hezbollah: ucciso il numero due Ibrahim Aqil

3 ore fa 1
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La vendetta di Israele questa volta è arrivata dal cielo. E ha di nuovo colpito Hezbollah nella sua roccaforte: i sobborghi meridionali di Beirut. Un raid chirurgico, un “omicidio mirato” come lo definiscono gli esperti, con due edifici distrutti, 12 morti e più di 60 feriti.

E il principale obiettivo, questa volta, era Ibrahim Aqil, anche noto come “Abou Tahsin”, forse il trofeo più pregiato (dopo Hassan Nasrallah) di una caccia che Israele sta compiendo da ormai un anno non solo contro Hamas, ma anche contro la milizia sciita libanese.

Ibrahim Aqil, chi era il comandante di Hezbollah (ricercato dagli Usa) ucciso nell'attacco israeliano a Beirut

IL PROFILO

Aqil, 64 anni, originario del distretto di Baalbek, ha vissuto praticamente sempre nelle file del Partito di Dio. Negli anni Ottanta ha partecipato alla cattura di ostaggi statunitensi e tedeschi, e secondo Washington ha avuto anche un ruolo nell’attentato che ha colpito l’ambasciata americana a Beirut nel 1983, tanto che su di lui pendeva una taglia di sette milioni di dollari. Ha continuato la sua carriera scalando la gerarchia di Hezbollah all’ombra di Nasrallah e sempre in parallelo a Fouad Shukr, il vicecomandante del gruppo filoiraniano ucciso in un raid israeliano lo scorso 30 luglio. Una vita passata in Libano e di recente anche in Siria. E per qualche media israeliano, Aqil si stava occupando anche dei famigerati tunnel di Hezbollah nel sud del Libano: una minaccia che per molti analisti resta un grosso punto interrogativo, ma che preoccupa l’Idf e i servizi segreti israeliani.

I RAPPORTI DI POTERE

Il peso di Aqil nel circolo di potere di Nasrallah è stato confermato anche dagli incarichi che ricopriva l’uomo prima della sua morte. Era a capo delle operazioni militari di Hezbollah e guida della forza d’élite, la Radwan, che secondo una fonte israeliana del giornalista Barak Ravid è stata sostanzialmente decapitata. Faceva parte del Consiglio del Jihad, l’organo militare più importante del gruppo filoiraniano. Ed era di fatto il vice di Shukr, con cui ha condiviso anche il destino finale. Un uomo centrale nel Partito di Dio, morto mentre si riuniva insieme ad altri dieci ufficiali di Hezbollah «nel sottosuolo, sotto un edificio residenziale, nel cuore di Dahiyeh usando i civili come scudi umani». È stata questa la versione del portavoce delle Israel defense forces, Daniel Hagari. E le Tsahal, oltre ad ammettere la responsabilità per il raid hanno aggiunto un altro inquietante dettaglio. E cioè che «Aqil e i comandanti che sono stati eliminati erano tra gli architetti del “piano per l'occupazione della Galilea», in cui Hezbollah progettava di fare incursioni in territorio israeliano, occupare le comunità della Galilea, assassinare e uccidere innocenti, in modo simile a quello che l'organizzazione terroristica di Hamas ha compiuto nel massacro del 7 ottobre».

Tra le mani di Aqil c’erano i più importanti dossier della milizia e forse anche i piani per rispondere all’inferno scatenato dal Mossad con le esplosioni dei cercapersone e dei walkie talkie. Una vera e propria umiliazione per Nasrallah, che in un anno ha perso centinaia di combattenti, ha visto gli 007 israeliani ferire in pochi minuti migliaia di miliziani, e ha assistito alla trasformazione di Beriut in un territorio di caccia dell’Idf, che nella capitale libanese ha ucciso prima Saleh al-Arouri, poi Shoukr e ieri Aqil. Dopo il raid, Hezbollah ha detto di avere sparato razzi Katyusha contro «il principale quartier generale dell'intelligence» nel nord di Israele. Ma la situazione, per la milizia, appare critica.

LA POSIZIONE DI BIBI

Nelle ultime settimane, Tel Aviv ha di fatto aperto un secondo fronte dopo Gaza (terzo, se si considera la Cisgiordania). «I nostri obiettivi sono chiari, le nostre azioni parlano da sole». ha commentato ieri il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. E a conferma di questo assedio, ieri, poche ore prima di uccidere Aqil, i caccia israeliani hanno bombardato a tappeto i lanciamissili di Hezbollah, distruggendone un centinaio.

L’Idf continua a dire di non volere un conflitto su vasta scala. Ma è evidente che quella in corso è di fatto una guerra, e lo ha affermato anche Nasrallah nell’ultimo discorso. L’esercito israeliano si prepara da tempo a questo scenario, tanto che ha deciso di spostare la 98esima brigata dalla Striscia di Gaza al confine libanese. Netanyahu vuole mettere definitivamente in sicurezza il nord di Israele e far rientrare nelle loro case le decine di migliaia di sfollati che da ottobre dell’anno scorso hanno lasciato le loro comunità per i missili del gruppo filoiraniano.

Ma la speranza di arrivare a questo risultato con un accordo sembra sempre più sottile. Gli Stati Uniti stanno provando a cercare una soluzione che eviti l’escalation, trattando con Israele ma anche per vie secondarie con l’Iran (che ha commentato l’attacco condannando «con la massima fermezza la follia e l'arroganza israeliana che ha superato ogni limite»). Ieri, il presidente Joe Biden ha detto di voler «garantire che le popolazioni del nord d'Israele e del sud del Libano possano tornare a casa». Ma il timore di Washington, dei partner europei e dell’Onu è che lo scenario sia ormai paralizzato e sempre più simile a quello di Gaza, da dove Hamas spera di unire i fronti. E l’Asse della resistenza, l’insieme di milizie diretto da Teheran, si sta di nuovo compattando.

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