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Pubblichiamo un estratto della nuova edizione di Controvento. La vera storia di Bettino Craxi (Rubbettino) di Fabio Martini, da domani in libreria.
Da ottant’anni un Paese di frontiera come l’Italia ha scelto di restare sotto l’ombrello americano e quei pochissimi leader - Bettino Craxi e Aldo Moro - che hanno provato a far rispettare la sovranità nazionale in momenti critici, hanno poi dovuto affrontare un destino avverso. Da decenni un enigma si rincorre senza trovare una risposta precisa: gli americani hanno fatto pagare un qualche prezzo ai leader meno accondiscendenti? Ora, a 25 anni dalla scomparsa di Bettino Craxi, documenti desecretati e nuove testimonianze contribuiscono a capire come andarono le cose. A cominciare dalla vicenda di Sigonella (...), passata alla storia come un evento spartiacque: la prima occasione nella quale un presidente del Consiglio italiano – tra coraggio e azzardo – respinse un’interpretazione hard del concetto di sovranità da parte degli Stati Uniti. Quella vicenda si dipanò lungo l’arco di tre settimane, costò una crisi diplomatica con Washington e una crisi politica a Roma (…), oscurando ciò che l’aveva realmente motivata: l’attacco trasversale ad un piano italiano di pace per il Medio Oriente che Craxi in quella fase stava coltivando, d’intesa col presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan.
L’attacco alla Achille Lauro fu mosso dalle frange palestinesi fondamentaliste, che osteggiavano Arafat e il piano italiano. A dispetto della fama filo-palestinese di Craxi, il piano aveva un impianto gradualista, puntava, non ancora sui due Stati, ma sull’autogoverno di Gaza e della Cisgiordania e avrebbe messo ai margini gli integralismi israeliani e arabi. Alla prova del tempo, un piano lungimirante. Dunque, in quella occasione accanto all’arroganza americana, Craxi dovette fronteggiare un radicalismo palestinese che nel tempo porterà ad Hamas (…).
Un piano osteggiato anche da Israele. Peres arriva a Roma il 18 febbraio 1985: è la prima visita di un Capo del governo israeliano in Italia. Il faccia a faccia si svolge nello studio di palazzo Chigi: Craxi cerca il consenso di Peres e quel che accadde allora, lo racconta dettagliatamente l’unico testimone, l’ambasciatore Antonio Badini. Peres si alzò quasi di scatto e disse: «Io non compirò un salto nel buio, Craxi sei in anticipo con la Storia». E Craxi replicò: «Peres, credo ad che essere in ritardo sia tu». I due restarono per qualche attimo in silenzio. La mediazione era fallita. Tutto era partito sull’Achille Lauro (…). Certo, Craxi si espose con gli americani con la prova di forza di Sigonella, di nuovo nell’ottobre 1986, facendo avvisare in tempo Gheddafi per un attacco improvviso degli F111 americani che avrebbe dovuto colpire il leader libico, ma per diverse ragioni non si era infranta la fiducia personale che il presidente Reagan aveva per Craxi che tuttavia si era indebolìto: in quelli che Badini chiama «i corridoi del potere» di Washington, nel “deep state”, come lo definisce Beppe Scanni. Dunque, quei segmenti formati da Servizi, Fbi, mondo finanziario, consiglieri (…).
Ma gli americani ordirono una trappola durante la stagione di Mani pulite? Davanti alla gravissima crisi italiana - che è politica, giudiziaria, finanziaria e di protagonismo mafioso - nel giro di tre anni (1991-1993) si manifestano “due Americhe”, dietro le quinte drasticamente diverse tra loro: l’amministrazione Bush appoggia incondizionatamente il pool di Mani pulite e non fa nulla per coprire la vecchia classe dirigente della stagione anti-comunista. I dispacci della Ambasciata americana sono espliciti e descrivono una innaturale consuetudine del Console americano a Milano con tutti gli esponenti del Pool. Ma dal 1993 l’amministrazione democratica di Clinton cambia radicalmente, ritira l’appoggio al pool e lo fa con un’iniziativa riservata, del tutto irrituale. Proprio per spezzare quel legame tra ambasciata e Pool, l’ambasciatore Reginald Bartholomew, approfittando della presenza a Roma del giudice della Corte Suprema Antonin Scalia, lo fa incontrare a Villa Taverna con sette magistrati italiani, il cui nome resterà sempre segreto.
Ma non il contenuto del discorso di Scalia: parlando dell’esperienza in corso in Italia, rilevò una «violazione dei diritti di difesa», a cominciare dall’abuso della detenzione preventiva, che «violava i diritti basilari degli imputati». L’ambasciatore scioglie ogni legame con il Pool, ma al tempo stesso investe decisamente su una nuova classe politica. E punta, incontrandoli, su tre personaggi: Silvio Berlusconi, Massimo D’Alema e Gianfranco Fini. La migliore sintesi l’ha fatta Daniel Serwer, capo della rappresentanza diplomatica tra le due Presidenze: Andreotti, Craxi, Martelli, «erano nostri amici» e «però non facemmo nulla per proteggerli». Che è cosa diversa da un complotto, da un “piano x” e tuttavia le due Amministrazioni, pur perseguendo disegni diversi, finirono però per determinare il risultato finale: l’espulsione definitiva dei principali protagonisti della Prima Repubblica (…).
Craxi fu tra i pochi leader del secondo dopoguerra che provò a superare i rigidi confini stabiliti a Jalta. La sua vita politica è segnata dalla sfida per conquistare il massimo di sovranità, il massimo di libertà possibile per il proprio partito e per il proprio Paese. Un obiettivo che Craxi perseguì senza cedere a scorciatoie verso il facile consenso. Nel 2021 un maestro della scienza politica come Gianfranco Pasquino ha scritto: «Il decisionismo di Craxi, nella misura in cui si esplicitò, non voleva avere e non ebbe nulla di populista».