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Il capitano e l’arma del complotto

4 ore fa 1
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Ha un che di ridicolo l’esposto presentato dalle Ferrovie dello Stato per denunciare una sorta di sabotaggio che avrebbe portato ai disservizi che in questi giorni hanno paralizzato la rete in tutta Italia: un complotto. E non perché la cultura complottistica non faccia parte della politica italiana. Tutt’altro. A ogni piè sospinto c’è chi lancia accuse di questo genere, da destra a sinistra.

È evidente però che a muoversi dietro le quinte è Salvini, non più in grado di reggere il doppio assedio come ministro dei Trasporti (ieri avrebbe dovuto rispondere alla Camera, ma non s’è presentato) e come segretario del partito. All’interno del quale la questione del terzo mandato sollevata da Zaia rischia di diventare un detonatore per tutta l’area nordista, il core business di una Lega che sul piano nazionale stenta.

Ieri è stato reso noto che Salvini sì è assicurato il controllo di tutti i marchi del partito, con o senza il suo nome, e anche del simbolo di Alberto da Giussano, da sempre iconico per il Carroccio. È chiaramente un modo di avvertire i suoi avversari interni che chiunque ambisca a sostituirlo al congresso del prossimo marzo, dovrà fare i conti con lui, in un certo senso “proprietario” del partito, oppure rassegnarsi a migrare sotto altre insegne.

Ma credere di risolvere una questione politica adoperando il codice civile è un’illusione. Cosa potrebbe fare Salvini, con la somma di problemi che lo affligge e dopo il declino degli ultimi tempi, anche in caso di riconferma nel suo ruolo di leader? E quale potrebbe essere la reazione dei maggiorenti del partito, se davvero adoperasse l’arma della “proprietà” dei marchi per costringerli a venire a patti? Salvini non si rende conto che la risposta più probabile a una mossa del genere diventerebbe la frantumazione della Lega in tanti rivoli. In un certo senso è ciò che ha ventilato Zaia, minacciando di mettere su una coalizione locale veneta a difesa della possibile candidatura al suo posto di un uomo (o una donna) di Fratelli d’Italia, come chiede Meloni.

Il ritorno a una serie di piccoli partiti autonomisti e nordisti, che solo Bossi riuscì, prima a federare e poi a trasformare in un solo partito. Senza dire che l’implosione della Lega non sarebbe senza conseguenze per il destra-centro.

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