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Un patto a tre per centrali e rinnovabili. E Rama s’inginocchia davanti a Meloni

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ABU DHABI. Un foulard, un mazzo di fiori e un cavo sottomarino che, tra qualche anno, rifornirà l’Italia di energia pulita albanese prodotta a spese degli emiri. Avrà avuto compleanni migliori Giorgia Meloni, ma il bottino del 48esimo, festeggiato ieri, pare rispettabile. E poco importa se il pranzo del suo giorno speciale finisce in un ristorante a buffet di un enorme centro conferenze di Abu Dhabi dove, seduta tra i ministri Francesco Lollobrigida e Gilberto Pichetto, sfilano camerieri in livrea che, tra riso profumato e stufati di agnello, cercano di offrirle un’italianissima pizza. Negli Emirati Arabi Uniti, la premier ci è tornata volentieri per la terza volta da quando è a palazzo Chigi. Meloni è convinta che dalle sfavillanti e vuote oasi del deserto emiratine passi il futuro del piano Mattei (con 100 milioni di euro Mohammed Bin Zayed è per ora l’unico co-finanziatore del fondo ad hoc presso la Banca di Sviluppo africana). E forse pure quello del protocollo Italia-Albania per i migranti.

Meloni accordi energia albania emirati arabi

All’Adnec center, infatti, dell’accoglienza che precede il suo intervento alla Sustainability week si occupa Edi Rama. Il primo ministro albanese che, sornione, poco prima aveva dichiarato di non temere la concorrenza di Elon Musk o di Narendra Modi nei rapporti con «mia sorella» («Gli altri vanno e vengono»), lo fa in “grande” stile: scandendo un “sobrio” «sua maestà» diretto alla premier, inginocchiandosi per porgerle il suo regalo e avvolgendoglielo attorno al capo. Il dono è un foulard grigio e rosso con i ritratti di alcune donne scattati da un fotografo a inizio ’900, il siparietto tra il divertente e l’imbarazzante. Rama prima dice alla premier che «i giornalisti pensano che ce l’hai con loro» e poi invita la mai amata stampa italiana ad intonare «tanti auguri». Meloni, spiazzata, taglia corto e rompe il silenzio con un «non li mettere in imbarazzo». Almeno un paio di anni luce dal sorridente presidente kazako Kassym-Jomart Tokayev, felice di porgere alla premier un mazzo di rose e un nuovo invito per una visita ad Astana.

ll premier albanese Edi Rama si inginocchia davanti alla premier italiana e le regala un foulard 

Il trattamento di Rama d’altro canto, forse non è dovuto solamente all’amicizia che li lega, ma pure all’intesa tripartita tra Albania, Italia ed Emirati Arabi Uniti siglata ieri, di cui Roma si è fatta in qualche modo garante. Il patto prevede che il consorzio emiratino-albanese Kesh&Masdar si impegni, spiega alla Stampa Pichetto, «a costruire centrali idroelettriche» per 3GW in Albania, con l’Italia che – a seguito della realizzazione di un’interconnessione sottomarina da 1GW verso il Belpaese – ne acquisterà l’energia prodotta, equiparandola fiscalmente a quella delle rinnovabili nostrane. Tant’è che a completare la folta delegazione italiana c’è pure il numero uno di Enel, Flavio Cattaneo. L’intesa però, chiarisce il ministro dell’Ambiente, «vedrà i suoi frutti tra molti anni» e, comunque, «con un impatto di circa l’1%» sul fabbisogno nazionale. Al netto delle ambizioni meloniane di trasformare la Penisola in «un hub energetico» per ora a guadagnarci pare essere l’Albania, con un investimento da quasi un miliardo di euro pagato all’80 per cento dagli emiri. Uno scambio per la disponibilità a far costruire all’Italia i contestati centri di Shengjin e Gjader? Impossibile dirlo, anche se il Movimento 5 stelle ieri già urlava «all’inciucetto» con il senatore Pietro Lorefice. Fatto sta che Rama, ancora prima di inginocchiarsi per porgere a Meloni il suo regalo di compleanno, ha chiarito che da quel protocollo l’Albania «non ne ha ricavato nulla» e di averlo fatto solo «per fratellanza». Una sincera amicizia che la premier pare condividere anche con Bin Zayed che, dopo ben due bilaterali centrati sull’impegno ad aumentare la cooperazione tra i Paesi, a sera insiste per ospitarla a cena assieme alla figlia Ginevra, ai ministri e alla delegazione. La cornice per foto e torta stavolta è tutt’altra: l’Emirates palace, il sontuoso hotel da 114 cupole e stanze arredate in oro e marmo di cui è proprietario proprio l’emiro. A dimostrarlo la sua effige che fa capolino nella hall, proprio come in buona parte delle costruzioni del resto della città. Oltre che, stilizzato e sotto forma di spilla, sul bavero della giacca di Lollobrigida.

Al mattino mentre la premier, dal palco, alza il tiro verso un orizzonte lontano parlando della possibilità che la «fusione nucleare» trasformi «l’energia da arma geopolitica a risorsa ampiamente accessibile», tra divanetti e caffè al cardamomo è proprio il ministro dell’Agricoltura a entrare sullo stesso ring del leghista Luca Zaia. Esultante per aver chiuso un accordo per l’esportazione negli Emirati Arabi Uniti del riso piemontese e con spilletta d’ordinanza appuntata, a differenza dell’ex cognata, Lollobrigida si concede a qualche domanda. «Le parole di Zaia sul correre separati sono difficili da capire» dice alla Stampa e agli altri giornalisti presenti. «Qualche anno fa, lo ricorderete, è stato lui a chiedere il limite al terzo mandato» attacca, salvo poi garantire di non sentire «aria di crisi» e che «squadra che vince non si cambia». Roma, insomma, ancora non è abbastanza lontana dalla frontiera emiratina per restare in valigia.

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