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Tornata a vivere in Italia dopo tredici anni di Londra una cosa in particolare mi ha colpito. È una cosa forse banalissima, che prima non avevo mai notato perché fa parte della normalità del panorama metropolitano italiano. Ma le cose le noti nell’assenza, quando manca l’abitudine. Nel caso in questione ho notato le pistole. Le noto perché mi ero abituata a non vederne e ora ne vedo tantissime. E intendo le pistole di ordinanza, quelle che occhieggiano nelle fondine sul fianco non solo delle forze di polizia ma anche delle guardie giurate.
Quando ci passo vicino guardo quelle pistole e spero che almeno abbiano la sicura. Mi fanno paura le armi in generale, perché quando appare una pistola – ogni romanziere lo sa – prima o poi deve sparare. Nella realtà si spera di no, ma è un principio generale. E infatti in Inghilterra la polizia non è armata. Ci sono gli agenti dell’antiterrorismo, che imbracciano addirittura i mitra e caschetti da guerre stellari. Ma quelli sono un’altra cosa e sono corpi speciali a difesa di obiettivi sensibili. I Bobbies, i famosi poliziotti con il casco nero e la stella che pattugliano le strade di Londra, non sono armati. Hanno il manganello, il giubbotto antiproiettile, le manette penzoloni e dopo le ultime rivolte sono stati dotati anche di teaser (non senza polemiche). Ma niente pistole. Perché lì vige il cosiddetto «policing by consent», quella che viene definita «polizia del consenso»: non significa che ti arrestano solo se sei d’accordo, ma è una questione ben più delicata e profonda, che affonda le radici nei principi stessi della democrazia e dell’impianto dello Stato di diritto.
Principi utili da rispolverare, in questi tempi convulsi dove si sbandiera il pericolo di un Paese violento, di piazze fuori controllo, forze dell’ordine sotto attacco che necessitano quindi di una tutela maggiore, addirittura di uno «scudo penale» che in sostanza metterebbe polizia e carabinieri sopra la legge. Ora, se si confrontano le baruffe di piazza di questi giorni in Italia con le grandi rivolte – i cosiddetti Riots - che ciclicamente mettono a ferro e fuoco le strade di Londra e del Regno Unito, viene da ridere. Quelle inglesi sono ben peggio. Ma cercherò di spiegare cosa si intende per polizia del consenso senza cadere nell’odioso paragone con l’estero, che è sempre antipatico e spesso fuorviante. Non in questo caso, però.
È una filosofia che risale al 1892, anche nota come i 9 principi di Robert Peel, il politico conservatore che ha fondato la Metropolitan Police. Per questo i Bobbies si chiamano così, dal nome Robert, ovvero Bob. Questi principi furono impartiti a tutti gli agenti di polizia fin dal 1829. Non starò ad enunciarli tutti e nove (per intero si trovano sul sito della Metropolitan Police, lettura interessante e consigliata), ma in sostanza stabiliscono che compito della polizia è prevenire il crimine e il disordine, come alternativa alla loro repressione con la forza (da usare solo quando non se ne può proprio fare a meno) e la severità delle punizioni legali. Il potere della polizia, quindi, dipende dall’approvazione pubblica della sua esistenza, delle sue azioni e del suo comportamento e dalla sua capacità di assicurare e mantenere il rispetto pubblico. Qui riporto uno dei principi per intero, quello più originale e importante: «Le forze di polizia devono mantenere sempre un rapporto con il pubblico che concretizzi la tradizione storica secondo cui la polizia è il pubblico e il pubblico è la polizia, essendo la polizia solo un membro del pubblico pagato per dedicarsi a tempo pieno ai doveri che spettano a ogni cittadino nell’interesse del benessere e dell’esistenza della comunità». Una filosofia unica nella storia e a dire il vero nel mondo, perché non deriva dalla paura ma dalla cooperazione e dal rispetto, il potere della polizia deriva dal consenso comune del pubblico, in contrapposizione al potere dello Stato.
Ecco perché in Inghilterra non ci sono armi. E perché il pubblico è tutelato oggi contro ogni abuso di potere: ci sono anche lì, non ne abbiamo l’esclusiva, ma vengono puniti severamente anche grazie all’uso di telecamerine e numeri identificativi sui giubbotti di ogni Bobby.