Home SignIn/Join Blogs Forums Market Messages Contact Us

Femminicidio comprensibile, parole come pietre

4 ore fa 1
ARTICLE AD BOX

Non sbucano dal nulla, le parole. Non compaiono all’improvviso, non sono lampi estemporanei. Sono, anche loro, dentro una storia. Sono parte della lingua a cui appartengono, certo, dunque cambiano dentro dei limiti; la forma non si separa mai dal contenuto, significato e significante sono i due lati di un foglio scriveva Saussure nel secolo scorso. Il padre della linguistica chiariva poi come i fattori di questa trasformazione fossero il tempo e «la massa parlante», tradotto nella lingua dell’oggi la storia e noi. Bisogna partire da qui per arrivare alla «comprensione», anzi «umana comprensione» invocata dal tribunale di Modena per ridurre la condanna di Salvatore Montefusco che nel 2022, con più di venti colpi di fucile aveva ucciso la moglie, Gabriela Trandafir, 47 anni e la figlia, Renata Alexandra di 22, davanti al figlio minorenne. Era stato il ragazzo a chiamare la polizia, dopo aver provato a fare da scudo alla madre che già, per tredici volte, aveva denunciato il marito per stalking e maltrattamenti e aveva avviato le pratiche per la separazione: l’udienza decisiva si sarebbe tenuta il giorno successivo ai femminicidi. Sappiamo che Montefusco aveva ricambiato le denunce, portando i giudici a parlare di una situazione nel complesso «altamente conflittuale», di «faida familiare» e «black out emozionale».

Nelle parole ci si può perdere, ci si annega, quando si smarrisce il senso si finisce anche per cancellare dati di realtà: queste formule che precedono e aprono la strada alla «comprensione» convergono nel sottrarre la colpa all’autore del gesto. Le spostano sul contesto e sulla vittima: c’è conflitto o almeno violenza reciproca come riportano le denunce; c’è una faida, c’è confusione, si litiga. La sorella di Trafandir racconta un pregresso molto diverso: afferma di aver fatto lei una delle denunce, di aver espresso chiaramente la sua paura per la sorella e la nipote, di non aver avuto ascolto. Il suo allarme non è stato compreso. Quante volte abbiamo già incontrato questa mancanza di comprensione? Quante volte gli allarmi non sono stati capiti o sono stati sottovalutati, travisati, lasciati cadere? Perché certe parole passano, bucano, e altre no?

Questo è il primo lato del foglio, per riprendere e traslare la metafora, e ci serve per capire l’altro, ossia la «comprensione» incontrata da Montefusco, che ha radici antiche e profonde. Il suo disagio è accolto, la sua sofferenza condivisa perché è dentro la nostra storia, di più: l’ha fondata. È stata legittima, giustificata e prevista per gli uomini la reazione all’onore offeso, all’umiliazione determinata dal disordine coniugale: dentro queste norme era iscritta l’asimmetria tra i sessi e la libertà diseguale a cui corrispondeva un’altrettanto diseguale responsabilità. Abbiamo voltato pagina, si è scritto ieri in una sacrosanta indignazione collettiva, abbiamo cambiato le norme, la cultura. Ma dobbiamo dirci, a valle di queste sentenze e della violenza che ancora non si riesce a sconfiggere, che resta vivo un senso comune dove colpa e responsabilità si divaricano: lui è il responsabile, ma le responsabilità non sono tutte sue. Ha ucciso, ma lo ha fatto per reazione e lo capiamo: lei voleva separarsi, divorziare, voleva lasciarlo; lei voleva laurearsi, lavorare, aveva un altro: certo che arriva la «soverchiante tempesta emotiva», certo che si perde il lume della ragione, certo che «non ci si vede più».

Bisogna aprire gli occhi invece, mettere bene a fuoco questa forbice tra colpa e responsabilità e richiuderla. Non per gli anni di carcere, non serve accanirsi e men che mai buttare disumanamente la chiave. Le pene devono essere «proporzionate», come afferma la Convenzione d’Istanbul, accompagnate da una protezione efficace per le vittime e da una prevenzione adeguata. Servono, invece, giustizia e umanità, serve uno sguardo capace di riconoscere la nostra storia diseguale senza averne paura e senza riproporla. Servono istituzioni capaci di accogliere la libertà delle donne e respingere chi la vive come un affronto: non occorre andare altrove per capire che senza non c’è civiltà possibile.

Leggi tutto l articolo