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Milano, il procuratore Antimafia Melillo: «Il contrasto passa da ricerca scientifica e raccolta dati». Sul caso Bari: «No comment»

10 mesi fa 9
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«Le organizzazioni, ovunque operino nel mondo, hanno la necessità di trasformare i profitti di attività illecite in ricchezza legale. Per questo è necessario contrastarle con un’attività di ricerca e raccolta dati per comprendere come si sviluppino i vari fenomeni criminali». Il procuratore nazionale Antimafia e Antiterrorismo Giovanni Melillo descrive l’importanza di dati e analisi del problema mafioso nel corso di un convegno sul tema delle infiltrazioni criminali nell’economia organizzato oggi all’Università Cattolica di Milano da Transcrime, centro di ricerca interuniversitario su criminalità e innovazione, e dall’Associazione nazionale funzionari amministrazione civile dell’Interno (Anfaci).

Melillo: «Su casi Bari e dossieraggio no comment»
Interrogato dai giornalisti a margine del convegno sull’ipotesi di scioglimento del Comune di Bari e sul sindaco Antonio Decaro, che ha definito la procedura «un atto di guerra», Melillo non ha voluto esprimere pareri: «Ci sono tutti gli strumenti per valutare l’importanza di un caso come questo, non è mio compito ritenere fondate tali iniziative». Silenzio anche sul caos dossieraggio: «Su questo tema ho già parlato per cinque ore in una recente commissione antimafia, non intendo aggiungere altro».

«L’azione di contrasto – ha proseguito Melillo tornando sul tema di giornata – ha bisogno di poter contare sulla ricerca scientifica, per poter elaborare delle categorie concettuali con cui poterci confrontare con l’evoluzione economica delle mafie. I procedimenti contro la criminalità organizzata, ma anche contro il terrorismo, si nutrono di questi strumenti».

I dati a cui fa riferimento sono stati esposti nell’arco della giornata da Transcrime, che su commissione di Polis-Lombardia ha indagato sulle imprese lombarde basandosi su 30 parametri che stabiliscono se e quanto potrebbero subire un’infiltrazione di tipo mafioso. Su oltre un milione, sono oltre 5 mila (0,5%) quelle a rischio. Si registra anche un interesse recente delle mafie nei settori legati a energia rinnovabile, trasporti, gaming e scommesse, medicine, progetti di architettura ed edilizia.

I dati di Transcrime
Sempre Transcrime mette in luce un aspetto legato all’emergenza Covid. A seguito di un’indagine su quasi 44 mila imprese che hanno cambiato proprietà tra aprile e settembre 2020, si nota un ingresso di nuovi titolari collegati a giurisdizioni a rischio pari all’1,3%, politicamente esposti pari all’1,5% e legati a forme societarie definite «opache» per un valore 10 volte superiore alla media.

In questo mare di dati raccolti in pochissimo tempo, emerge un altro fattore: tra le imprese confiscate alle mafie in Italia e quelle interdette in Lombardia, c’è un’alta incidenza di donne in ruoli apicali. «È un sintomo del ricorso, da parte degli affiliati, a prestanomi selezionati “in famiglia” – ha spiegato il referente del centro studi Francesco Calderoni –. In questo modo si tenta di mantenere uno stretto controllo sulle varie imprese».

Gli interventi di Dolci e De Lucia
Secondo il procuratore aggiunto della Dda di Milano Alessandra Dolci, le aziende confiscate alla mafia si muovono «su un modello tripartito: ci sono le imprese, poi le società filtro e alla base una serie di cooperative fittizie che vengono sfruttate come contenitori di manovalanza». Un’immensa rete di denaro, prestanomi e attività illecite in cui le organizzazioni criminali prosperano con un solo obiettivo: «Fare soldi ed evadere il fisco». In tutto questo, aggiunge, «le confische e i sequestri all’estero si contano sulle dita di una mano».

Dolci si è interrogata sui motivi che portano a questo radicamento economico delle mafie in Italia e nel resto del mondo: «Esiste una sovrapposizione tra la criminalità mafiosa ed economica. Bisogna combattere quest’ultima per contrastare la mafia. Anche perché il rapporto con gli imprenditori è cambiato: denunciano sempre meno perché ormai, per giustificare i conti e non vivere nella paura, chiedono la fattura nel caso gli venga imposto un pagamento dalle organizzazioni». È perciò importante, ha concluso, che le contromisure partano proprio dalle imprese: «Devono farsi carico dei modelli di organizzazione che le nostre normative prevedono. Ma è anche importante, dal punto di vista delle procure, lavorare in sinergia con le istituzioni. Come dimostrano le mie collaborazioni con prefetti più che sensibili ai temi dell’infiltrazione».

Se il potere delle mafie passa quindi dall’economia, il procuratore distrettuale di Palermo Maurizio De Lucia ha spiegato che cosa nostra oggi «è più debole rispetto a quella degli anni Novanta perché oggi è impoverita. Sta cercando di ricostruire un vertice, sa di non poter tornare come prima senza riacquistare forza militare e per ottenerla bisogna far girare l’economia». L’unico modo in cui è possibile farlo, ha detto, «è tornare a investire sugli stupefacenti, avvalendosi di consorzi con le mafie straniere e stipulando accordi con la ‘ndrangheta senza pestarsi i piedi a vicenda. Ma anche cercando di rientrare nel sistema appalti».

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