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«Sono pronto a incontrare Vladimir Putin»: Volodymyr Zelensky fa un nuovo passo verso il negoziato con il Cremlino, mentre un’intensa attività diplomatica da entrambe le sponde dell’Atlantico fa pensare che l’accordo per una tregua tra Russia e Ucraina potrebbe essere più vicino di quanto si possa pensare. Ieri il portavoce della presidenza russa Dmitry Peskov ha riconosciuto per la prima volta una «intensificazione» dei contatti con la nuova Casa Bianca, senza entrare nel dettaglio, e ha ribadito a sua volta che la Russia è disposta a trattare con Zelensky, nonostante continui a ritenere che abbia «problemi di legittimità». Dopo che è stato lo stesso Donald Trump a vantare un «buon progresso» nella ricerca della soluzione diplomatica alla guerra, alla vigilia del terzo anniversario dell’invasione russa dell’Ucraina, anche le parti in causa hanno deciso di fare delle aperture, senza troppo ottimismo.
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Zelensky infatti ha ammesso di essere disponibile a sedersi allo stesso tavolo con il dittatore russo soltanto se «sarà l’unica configurazione possibile per portare la pace ai cittadini ucraini e non perdere vite», e aggiunge che «parlare con questo assassino è già un compromesso». Peskov, a sua volta, ha replicato freddamente che quelle di Zelensky sono solo «parole vuote», in attesa di dimostrazioni di una «reale disponibilità», da parte per di più di un leader che Putin ritiene privo di legittimità, e che ha dichiarato appena qualche giorno fa di non voler incontrare, limitandosi a «inviare uomini» a parlargli, se necessario.
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Dichiarazioni che sembrano rivolte non tanto ai rispettivi nemici, e forse nemmeno alle proprie opinioni pubbliche, quanto al broker di questa ipotetica trattativa di pace, cioè Donald Trump. I contorni del piano di pace che il presidente americano aveva promesso durante la sua campagna elettorale di implementare in 24 ore, sono in realtà ancora lontani dall’essere definiti. Le cancellerie europee si aspettano che il “piano di Trump” venga presentato dal rappresentante speciale di Washington per l’Ucraina Keith Kellogg alla conferenza internazionale per la sicurezza a Monaco, che inizierà il 14 febbraio prossimo. Ma la vera scadenza, sostiene il deputato del parlamento ucraino Oleksiy Goncharenko, sarà il 12 febbraio, quando dovrebbe avvenire «un grande passo verso la sospensione dei combattimenti», a un incontro dei ministri degli Esteri dell’Ucraina, della Francia, della Germania, della Polonia, della Spagna dell’Italia e della Gran Bretagna con l’Alta rappresentante per la politica estera dell’Ue e il segretario di Stato Usa Marco Rubio. Il 20 febbraio Kellogg è atteso a Kyiv, mentre una data per l’ipotetico vertice di Trump con Putin non è stata ancora stabilita.
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Una tabella di marcia molto serrata, che spiega anche l’avvicendarsi di dichiarazioni e aperture, così come di minacce e segnalazioni delle varie «linee rosse». Secondo l’agenzia Bloomberg, infatti, il piano di Kellogg propone un «congelamento» della guerra senza riconoscimento alla Russia dei territori occupati ucraini, e la concessione a Kyiv di garanzie di sicurezza tali da impedire un nuovo attacco russo. Pronostico abbastanza scontato: il diritto internazionale non permette di strappare territori di un altro Paese con la forza, e Zelensky ieri ha ammesso che «oggi non siamo in grado di riconquistare i nostri territori, ma col tempo ci riprenderemo la nostra terra». Probabilmente però non esclude di poter negoziare comunque la restituzione di parte dei territori occupati, in cambio delle zone russe controllate ormai da sei mesi dagli ucraini. Ieri il presidente ucraino ha promesso che ci saranno «condizioni riguardo a Kursk», sostenendo che le truppe russe «non riusciranno a cacciarci in tempi brevi» e che stanno subendo cospicue perdite, mentre «i nordcoreani stanno scappando».
Il problema – sempre che Putin accetti che le «nuove regioni russe» come insiste a chiamarle rimangano formalmente ucraine – è il come (e anche il chi e quando) verrebbe garantita la sicurezza dell’Ucraina e il rispetto dell’eventuale tregua. Su questo, secondo la Nbc, ci sono non soltanto delle divergenze polari nelle posizioni di Mosca e Kyiv, ma anche delle polemiche all’interno dell’amministrazione Trump, tra chi è più propenso a fare pressioni sulla Russia e chi vorrebbe invece ricattare l’Ucraina con la sospensione degli aiuti militari. Poche certezze e troppi interrogativi da risolvere, con nello stesso tempo la necessità di fermare o almeno sospendere la guerra, non solo perché lo vuole Trump, ma soprattutto perché le risorse soprattutto umane di Kyiv sono al limite. Per la Russia, il problema è più l’economia, e proprio ieri sono apparsi i nuovi dati sull’inflazione, sulla riduzione dei proventi petroliferi e sulla crisi di diversi settori industriali che chiedono l’aiuto del governo contro l’impatto delle sanzioni: un campanello d’allarme che al Cremlino potrebbe venire sommato alle minacce di ritorsioni economiche fatte da Trump.