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Israele-Hezbollah, prove di guerra. Mistero sull?uccisione di Sinwar

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Hezbollah e Israele, a parole, non la vuole nessuno. Non è nei piani di Hassan Nasrallah, capo del Partito di Dio sempre più sotto assedio. E non la vuole nemmeno il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che ieri, in una riunione a porte chiuse della Commissione esteri e sicurezza della Knesset, non avrebbe preso alcun impegno per un’operazione più ampia dicendo solo di volere “ridurre le capacità” di Hezbollah e recidere i legami tra Libano e Striscia di Gaza. Nello stesso giorno gli 007 di Israele devono anche occuparsi di verificare la notizia della morte del leader di Hamas, Yahya Sinwar. Una fonte vicina al dossier - scrivono i giornali locali - ha affermato che «le indagini sono in corso ma ci sono state delle volte in passato in cui è scomparso e abbiamo pensato che fosse morto, ma poi è riapparso». Per il momento, comunque, solo voci senza conferme. 

IL CAMPO

La cronaca dal campo, però, mostra che il conflitto ormai è qualcosa che esiste, che si vive ogni giorno. E ne sono consapevoli non solo i miliziani di Hezbollah e i soldati delle Israel defense forces, ma soprattutto gli sfollati israeliani e cittadini libanesi, che ogni giorno vedono bombe e missili piovere senza sosta da una parte all’altra del confine. Ieri mattina, i combattenti sciiti hanno di nuovo lanciato i loro razzi contro lo Stato ebraico. E questa volta l’hanno fatto ampliando notevolmente il loro raggio d’azione. Tra la notte di sabato e le prime ore di domenica, Hezbollah ha lanciato 150 ordigni, tra missili da crociera, droni e razzi, contro il nord di Israele. Attacchi che secondo le forze armate è stato in larga parte neutralizzato da Iron Dome e dagli altri sistemi di difesa. Ma l’intervento della contraerea israeliana non ha evitato né la caduta di alcuni missili né che centinaia di migliaia di cittadini siano stati costretti a fuggire nei rifugi antiaerei.

Le autorità locali, per evitare incidenti, hanno chiuso fino a lunedì tutte le scuole delle regioni più a nord, addirittura alcune che si trovano entro 80 chilometri dal confine con il Libano. Ma quello che preoccupa il governo e i comandi dell’Idf, è che questa volta i missili di Hezbollah hanno raggiunto anche Haifa. Per la milizia di Nasrallah, decine di «razzi Fadi 1, Fadi 2 e Katyusha» hanno colpito il complesso industriale della Rafael e la base aerea di Ramat David. Le Tsahal hanno detto che gli attacchi non hanno avuto alcun effetto. Tuttavia, avere raggiunto Haifa è un segnale che non può essere sottovalutato. Mai i missili di Hezbollah erano arrivati così lontani dal confine dall’inizio di questa escalation. E Haifa, insieme a Tel Aviv, è considerata uno dei possibili obiettivi di Hezbollah qualora scatenasse la sua pioggia di fuoco contro lo Stato ebraico.

L’ALLONTANAMENTO

Per evitare questo scenario, i caccia israeliani hanno continuato a martellare le postazioni del Partito di Dio in tutto il Libano, anche nella speranza che Nasrallah accetti l’allontanamento delle sue milizie decine di chilometri a nord del fiume Litani. Negli ultimi giorni, l’Idf ha colpito centinaia di obiettivi su tutto il territorio, in particolare nel sud. E lo stesso Netanyahu ha chiarito ancora una volta qual è il suo piano. «Negli ultimi giorni abbiamo colpito Hezbollah con una serie di attacchi che non avrebbe mai immaginato. Se Hezbollah non ha recepito il messaggio, vi prometto che lo recepirà», ha detto il premier. Un concetto sottolineato anche dal capo dell’Idf, Herzi Halevi, che ha detto che «se Hezbollah non lo ha ancora capito, subirà un altro colpo e un altro ancora, finché l'organizzazione non lo capirà». Il movimento libanese sa che la resa dei conti rischia di essere vicina. Hassan Fadlallah, un parlamentare di Hezbollah, durante i funerali di uno dei combattenti uccisi nel raid su Beirut di venerdì scorso ha ammesso che la guerra «è in una fase nuova». Un elemento confermato anche dal numero due della milizia, Naim Qassem, che ai funerali di Ibrahim Akil, ha detto che il movimento è ponto a tutto. E per gli esperti, senza una soluzione diplomatica le opzioni dell’Idf in questo momento sono due. O continuano i bombardamenti aerei, oppure si apre l’ipotesi dell’incursione via terra per creare una zona cuscinetto e mettere in sicurezza il nord di Israele.

La tensione si respira in tutto il Medio Oriente. Ieri, al lancio di missili contro Israele, ha partecipato anche una milizia irachena: segno che l’Asse della resistenza può di nuovo attivarsi da un momento all’altro. E le Nazioni Unite hanno ricordato che con l’escalation tra Hezbollah e Tel Aviv l’intera regione «è sull'orlo di una catastrofe imminente». Il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby, ha spiegato che l’escalation, in questo momento, non è «nell’interesse di Israele». Ma a preoccupare l’amministrazione Biden è soprattutto l’esplosione di tutti e tre i principali fronti dello Stato ebraico. La guerra nella Striscia di Gaza non si è affatto fermata e continuano i raid sia la preoccupazione per la sorte degli ostaggi e il destino della popolazione palestinese. Mentre in Cisgiordania, le truppe israeliane hanno fatto irruzione nella sede di Al Jazeera, intimando la chiusura dell’emittente per 45 giorni. Tre fronti aperti, diversi tra loro, ma che rischiano di unirsi in un’unica cintura di fuoco intorno a Israele.

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