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ROMA – Per l’intelligence americana è «l’uomo dei droni» dei pasdaran. Per l’Iran, invece, il suo arresto è stato «un malinteso». Per l’Italia, che l’ha fermato su mandato di arresto internazionale, non ci sono le condizioni per tenerlo in carcere e poi estradarlo negli States. Così Mohammad Abedini Najafabadi ieri è tornato libero.
Non appena è arrivata la richiesta di revoca della misura cautelare firmata dal ministro della Giustizia Nordio, il collegio della quinta Corte d’Appello di Milano si è riunito. E ha rimesso in libertà l’ingegnere trentottenne. Poco dopo le 9, Abedini ha lasciato il carcere di Opera. Due, per lui, le mete possibili da raggiungere in sicurezza, senza il timore di incorrere in un altro arresto per questioni di rapporti internazionali. La Russia e l’Iran. Ha scelto la seconda ed è atterrato a Teheran un po’ prima delle 18.30 ora italiana.
Per raccontare questa faccenda intricata bisogna partire dal 16 dicembre. Abedini viene bloccato a Malpensa con l’accusa di aver esportato materiali tecnologici statunitensi in Iran e di aver avuto un ruolo chiave nell’attentato in Giordania a inizio 2024. L’America ne chiede l’estradizione.
Per l’Italia non ci sono i presupposti. Secondo il trattato tra il governo degli Stati Uniti e quello italiano, infatti, «possono dare luogo all’estradizione solo reati punibili secondo le leggi di entrambe le parti contraenti». Condizione che, in questo caso, manca.
E ancora. L’ingegnere era anche accusato di «associazione a delinquere per fornire supporto materiale ad una organizzazione terroristica con conseguente morte» e di «fornitura e tentativo di fornitura di sostegno materiale ad una organizzazione terroristica straniera con conseguente morte».
Secondo Washington, ci sarebbe proprio Abedini dietro il sistema di navigazione del drone che il 28 gennaio 2024 colpì la base statunitense «Tower 22» in Giordania. Accuse su cui però, ha precisato il ministero della Giustizia, non ci sarebbero riscontri «emergendo con certezza unicamente lo svolgimento, attraverso società a lui riconducibili, di attività di produzione e commercio con il proprio Paese di strumenti tecnologici avente potenziali, ma non esclusive, applicazioni militari». Insomma: mancano le prove.
L’avvocato Alfredo De Francesco, legale dell’ingegnere, non nasconde la soddisfazione: «Ora il mio cliente potrà riprendere a sorridere e a sperare». E il portavoce del ministro degli Esteri iraniano Mohammad Zarif elogia «la cooperazione di tutte le parti interessate».
La storia di Abedini si intreccia con quella della giornalista Cecilia Sala, arrestata a Teheran il 19 dicembre e liberata cinque giorni fa al termine di un complesso lavoro del governo e dell’intelligence.
La stessa premier Meloni aveva incontrato a Mar a Lago il presidente eletto Donald Trump e aveva fatto sapere che sul caso c'era un «vaglio tecnico e politico» e se ne discuteva «con gli amici americani». Meloni aveva precisato che avrebbe voluto parlarne anche con Biden, che sarebbe dovuto venire in Italia ma poi è stato trattenuto negli Usa per l'emergenza incendi a Los Angeles.
«L’arresto di Cecilia Sala è una sorta di ricatto», hanno sostenuto a più voci. Mentre il governo ha sempre escluso che le due vicende fossero collegate. «Sono vicende parallele ma non congiunte», ha ribadito più volte il ministro Nordio. E anche Teheran ha sempre smentito: «Nessuna ritorsione».
Ieri la firma della revoca dell’arresto dell’ingegnere. «La decisione del ministro Nordio dà lustro e onore giuridico all'Italia», esulta il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli (FdI). Mentre il Verde Angelo Bonelli commenta: «La decisione conferma che la liberazione di Cecilia Sala è stata la conseguenza di un accordo di scambio tra Iran e Italia». Una scelta «giusta».
Ma aggiunge «un’osservazione. Una volta le decisioni per difendere gli interessi nazionali le prendevamo in autonomia, nel rispetto della sovranità nazionale: oggi chiediamo il permesso ad altri paesi esteri, in questo caso agli Usa, facendoci rimpiangere Craxi ai tempi di Sigonella del lontano 1985».
Davood Karimi, presidente dell'Associazione rifugiati politici iraniani residenti in Italia, è critico: «L'Italia ha ceduto ai ricatti terroristici di Teheran».
Mohammad Abedini si è sempre proclamato innocente: «Sono un accademico, un professore universitario, non un terrorista». Ora è rientrato in Iran.