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«Come sto? Sai, ho imparato negli ultimi tempi a non dire “sto bene”, “benissimo grazie”, perché ormai suona sospetto. Però posso dire che mi sento molto meglio di prima. E questo è molto bello». Paolo Cognetti risponde così alla domanda più banale di tutte, quella che si usa come un saluto per poi dimenticarsi di ascoltare la risposta, la domanda che invece a volte è la più importante di tutte perché esprime cura e necessità, il desiderio di vicinanza in un momento che si sa non facile. Vincitore del Premio Strega nel 2017 con Le otto montagne, Cognetti si è raccontato in una lunga intervista andata in onda alla Iene ieri sera su Italia 1. Una intervista che un po’ lo preoccupava perché l’argomento era molto delicato: il trattamento sanitario obbligatorio (TSO) che Cognetti ha subito lo scorso anno. Sul piatto, come ha avuto il coraggio di raccontare, le sue condizioni di salute, la grave depressione che lo ha colpito. Ci parliamo nel pomeriggio, prima della messa in onda del servizio: «Tutto è cominciato esattamente un anno fa, il 7 gennaio del 2024. Sono andato in pronto soccorso e mi sono ritrovato legato a un letto senza la possibilità di muovermi e di andarmene come volevo». Una situazione paradossale, non richiesta e con ogni probabilità non necessaria: «Certo non stavo bene, ma non ero sicuramente pericoloso, avevo le mani in tasca, non potevo fare male a nessuno, me compreso». E invece? «E invece mi sono ritrovato legato a un letto con delle cinghie, mi hanno sparato un siringone nella coscia senza dirmi cosa ci fosse dentro. Secondo me quello che mi hanno fatto è stato illegale». A quel punto che cosa è successo? «Non sono in grado di dirlo, ma il giorno dopo mi sono risvegliato a casa mia, ho saputo poi grazie all’intervento di mia sorella che mi ha portato via da quel pronto soccorso».
Per raccontare alle Iene la sua vicenda, Cognetti ha accolto l’inviato Gaston Zama nella sua baita a Estoul in Valle d’Aosta, un posto speciale, pieno di cielo e di orizzonti lontani, ma anche di lavoro, di camminate tra i boschi e oltre i boschi, sulla neve e sui prati. Dove si può trovare il tempo e il modo giusto per raccontare le cose più importanti: «Ho subito un TSO per una grave depressione. Mi hanno diagnosticato un disturbo bipolare, che significa avere due fasi: una maniacale e una depressiva. Questa cosa io l’ho sempre avuta, fin da quando ero ragazzo, sicuramente». Da adulti capita di ripercorrere con la memoria i passi che sono rimasti alle spalle, di riconoscere eventi del passato che forse non ci si era spiegati a pieno e di provare a capire il senso di quello che è stato con nuove chiavi. «Il problema non è la fase maniacale della malattia. Il problema è quando arriva la fase depressiva. Stai a letto, pensi a come suicidarti e che tutta la tua vita è stata inutile. Io volevo attaccare una corda da alpinismo a una trave della baita trave e impiccarmi». La natura degli oggetti, la loro funzione, che cambia e si trasforma per colpa della depressione. Una trave, una corda, una finestra. Luca Di Bartolomei da anni combatte una battaglia sacrosanta e coraggiosa perché si restringa la possibilità di detenere un’arma in casa, perché un’arma in casa significa possibilità di usarla. E quando la depressione morde è importante che vicino ci sia qualcuno che aiuti a difendersi dai morsi: «Non mi hanno mai lasciato solo quest’estate, c’era sempre qualcuno con me. I pensieri suicidari sono molto comuni in certi casi».
Cognetti parla con il suo tono migliore, pacato, narrativo anche in una semplice conversazione, con quella dote straordinaria e amorevole di esprimere qualcosa anche nei brevi silenzi e con le sue movenze di timido che riesce a fare intuire un sorriso dietro una frase detta con più leggerezza, per spiegarsi ancora un po’: «Sto cercando di vivere senza farmaci. Non sono un no vax, ma vorrei poter vivere senza medicine». Il più grande desiderio di chi affronta una malattia, che in realtà sono due desideri: potersi liberare di lei e della necessità di dover prendere medicine, per sentirsi di nuovo in salute e liberi, per poter ripensare, quando si aprono gli occhi, a quello che di bello ogni giorno potrà dare. «Quando sono stato ricoverato a inizio dicembre del 2024 ho imparato ad apprezzare il lavoro che fanno infermieri e medici con i pazienti, la loro dedizione, la loro forza. È un lavoro difficilissimo e li ho visti fare cose straordinarie, anche con pazienti molto più difficili di me». E ora cosa c’è da fare? «Sto lavorando a qualcosa di nuovo. Credo che il ciclo della montagna, come lo chiamo io, sia per il momento esaurito. Ci sono tante altre cose nella vita». Il “ciclo della montagna” è quello che lo ha portato prima a lavorare nei rifugi, poi a scrivere della montagna - in realtà della vita, del rapporto con il padre, con i propri demoni, con la libertà -, quindi ad avere successo grazie alle cose che aveva scritto: «Con il Premio Strega ho capito che agli occhi del mondo ero uno scrittore. Questa sensazione è stata molto gratificante. Nel 2021 hanno girato il film Le otto montagne con protagonista Luca Marinelli. È stato qui con me due mesi, l’ho portato in montagna, l’ho allenato. La scena di cui vado più orgoglioso è quella in cui Luca balla sulla pietraia, gliel’ho insegnata io». La bellezza della frase “sono andato in montagna” che i montanari, vivendo già in montagna, usano per dire che lasciano la casa per andare ancora un po’ più su, dove non c’è casa, non ci sono muri e tetti, ma prati, roccia e cielo. «Ma il successo, la gente che ti riconosce…insomma, non è facile. Prima sei quel tizio che sta nella baita che si fa gli affari suoi e poi all’improvviso ti salutano tutti, ti fermano per strada, arrivano i soldi. Non è facile». Cosa le piacerebbe questa sera Cognetti, davanti al fuoco di un camino in una baita piena di pace, dentro e fuori? «Mi piacerebbe parlare con Vasco Rossi. C’è tanta verità nelle sue canzoni. La persona con cui vorrei parlare di più adesso è proprio lui».